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Sono passati ormai più di quarant’anni da quando Mauro De Mauro, il 16 settembre 1970, svanisce nel nulla. Di lui si sarebbero perse le tracce per sempre. De Mauro è nel 1970 un giornalista di cronaca nera che lavora per “L’ora” di Palermo, uno di quelli con un certo fiuto per la notizia. Non solo.

Pochi anni prima (nel 1962) accade uno dei tanti eventi tragici della storia italiana del secondo dopoguerra: l’aereo di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, esplode in volo nei cieli della Lombardia. Chi o cosa ha causato la morte di Mattei? Un incidente o un attentato?

Mauro De Mauro comincia da quel giorno, dopo essere stato inviato dal proprio giornale per un resoconto dei fatti, a indagare su quanto accaduto. Nessuno ha mai conosciuto i risultati di quell’inchiesta.

Quello che penetra dopo decenni di silenzio è solo il ricordo della famiglia e dei colleghi, rimembri di come negli ultimi giorni il giornalista fosse dedito ad ascoltare ossessivamente la registrazione dell’ultimo discorso di Mattei così come a leggerne gli ultimi articoli. Semplice passione o qualcosa di più? Secondo il pentito Francesco Di Carlo all’epoca De Mauro era intento a ricostruire gli eventi che avevano portato alla morte di Mattei, puntando tuttavia l’attenzione sui rapporti fra mafia e poteri politico-economici del tempo.

Quarantuno anni sono però un tempo sufficiente a far si che altre piste compaiano per far luce sulle ragioni della morte del giornalista. Una delle più interessanti è certamente quella legata al principale evento politico-eversivo dell’Italia del 1970: il golpe Borghese. Nel dicembre di quell’anno un gruppo di militari di ispirazione neo-fascista tenta di conquistare i centri nevralgici della società italiana.

Tuttavia qualcosa non va per il verso giusto e il golpe si trasforma in una farsa, in qualcosa che diversi politici avrebbero addirittura considerato un’invenzione. Il tentativo di golpe in realtà vi fu e a confermarlo sarebbe stato diversi anni dopo uno dei protagonisti delle trame eversive del periodo, Licio Gelli.

Ma con quest’ultimo entreremmo in un’altra storia o forse la stessa a detta di diversi pentiti (fra cui Buscetta) secondo i quali a causare la morte del giornalista sarebbero state le indagini di quest’ultimo circa i legami fra la mafia e gli uomini del generale Junio Valerio Borghese, ex Decima Mas.

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In breve, De Mauro muore perché le informazioni di cui è in possesso rappresenterebbero un pericolo per la realizzazione del golpe che si sarebbe dovuto realizzare tre mesi dopo il rapimento e la morte del giornalista.

A rendere verosimile il racconto giungono i rapporti che De Mauro certamente aveva con uomini della destra grazie alla diretta amicizia con Borghese e a una comune esperienza politica al tempo del fascismo.

Questa è pertanto la principale pista a cui gli inquirenti sono giunti finora, suffragata dalle rivelazioni dei pentiti di mafia che addirittura descrivono come la morte di De Mauro sia avvenuta per strangolamento dinanzi ai principali boss di mafia del tempo, compresi Riina e Provenzano; successivamente il corpo sarebbe stato gettato in un fiume.

Arriviamo così ai giorni nostri e al processo per omicidio che vede imputato solo Totò Riina per il quale il Pm chiede l’ergastolo. Se realmente verrà accolta tale richiesta ci troveremmo dinanzi a una sentenza storica per il valore che trascina con sé.

Considerare verità giudiziaria il fatto che la morte di Mauro De Mauro sia avvenuta ad opera della mafia per tutelare le trame eversive in atto nel 1970 significherebbe sia ammettere legami fra la politica e l’eversione nera presente in quegli anni, sia ammettere l’esistenza di forti relazioni fra gli ambienti mafiosi e quelli della destra eversiva.

Tutto ciò fungerebbe da primo capitolo a una storia che vedrebbe, fra le altre, stragi come quella avvenuta a Milano nel 1969 e a Brescia nel 1974; significherebbe il primo passo verso una verità che ancora stenta ad affermarsi.

Si potrebbe finalmente scrivere una pagina nuova per la giustizia italiana. Ma tutto ciò è per ora solo fanta-giustizia nell’attesa di una sentenza che giunge dopo quarantuno anni.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 2.5.2011)