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(foto fonte web)
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Chissà se nei prossimi tempi assisteremo a episodi come quello avvenuto qualche giorno fa a Imperia, Liguria. Il giudice del lavoro Enrica Drago ha accolto quella che può oggi definirsi una sentenza storica sia per il contenuto sia per il contesto in cui è maturata.

Siamo a Milano, anno 1969, una bomba scoppia all’interno della sede milanese della Banca dell’Agricoltura. Il bilancio è tragico: alla fine si conteranno diciassette morti e novanta feriti.

Ma quel che maggiormente sconvolge di quell’attentato è che non sarà un episodio isolato. Già lo stesso giorno altri attentati, senza vittime, avvengono anche a Roma con l’obiettivo di creare un clima di tensione che negli anni successivi si concretizzerà con altre bombe e altri morti. Piazza Fontana, dove la Banca dell’Agricoltura ha sede, diventa così la madre di tutte le stragi che in Italia si alterneranno nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione” di cui soltanto oggi riusciamo a scorgere, senza esagerare, parte dei contorni che l’hanno generata.

Ma il 12 dicembre 1969 l’Italia è ancora ignara di quel che sarebbe accaduto negli anni successivi. E ignara è anche Roberto Antonucci Prima, ragazzo di soli 29 anni all’epoca dei fatti e cassiere presso la Banca dove avviene lo scoppio. Antonucci è uno di quei novanta feriti vittime della deflagrazione. Oggi Roberto Antonucci Prima di anni ne ha 71 e vede realizzarsi una mezza giustizia. Il giudice gli ha infatti riconosciuto un risarcimento di cinquecentomila euro per i danni subiti a seguito dello scoppio.

Nello specifico, da quel giorno egli soffre di disturbi post-trauma e di stress cronico. I soldi dovranno essergli versati sia dal Ministero dell’Interno nella cifra di centosessantaduemila euro, sia dall’Inps che adempirà al pagamento di trecentocinquantacinquemila euro. Si tratta di una sentenza senza precedenti per le vittime di Piazza Fontana, frutto della legge prevista per le vittime di stragi laddove è sancito che dovrà essere lo Stato a curarle a proprie spese.

Tuttavia, come già accennato, si tratta di una mezza giustizia. L’altra metà si è perduta fra il sangue e le macerie di chi ha interrotto il 12 dicembre 1969 la propria esistenza e di chi invece dopo 42 anni ancora non è in grado di rispondere ai quesiti più urgenti della democrazia: Chi ordinò quella strage? Perché dopo tanti anni non si è stati in grado di conoscere la verità?

Quanto tempo ancora dovrà passare prima che “la madre” di tutte le stragi possa leggere finalmente i nomi e cognomi di chi non c’è più? Per quest’ultimi non vi saranno risarcimenti, né per le famiglie è previsto un indennizzo. Si tratta delle contraddizioni della giustizia laddove chi sopravvive può aspirare a ricevere un po’ di giustizia dopo anni e anni di lotte; ma a chi muore nulla è dovuto, come un treno che passa senza lasciare più traccia né rumore di sé.

La Strage di Piazza Fontana, quella di Piazza della Loggia, quella ancora della stazione di Bologna per non parlare delle tante morti che di decennio in decennio hanno reso l’Italia il segno vivente dell’assenza di giustizia, attendono ancora una verità, certi che i risarcimenti possono appagare il presente ma non la storia.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 9.5.2011)