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(foto fonte web)
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La tragedia dei tre operai morti a Capua sul posto di lavoro riaccende le polemiche

Che senso può avere per un’azienda rischiare la chiusura, finire in un’inchiesta, vedere bloccati i propri lavori e addirittura rischiare di finire in carcere con l’accusa di omicidio colposo?

E’ la domanda che dovrebbero porsi i responsabili di ditte e società, in migliaia sul territorio italiano, i quali preferiscono offrire sconti record pur di aggiudicarsi gare di appalti, vitali per la sopravvivenza nei settori più disparati.

Come in un terribile “gioco” a turno, stavolta è una ditta farmaceutica a essere sotto accusa per la morte di tre operai, Giuseppe Cecere, Antonio di Matteo e Vincenzo Musso, calatisi in una cisterna della società Dsm di Capua.

I tre operai sono morti per le forti esalazioni che la cisterna di silos, nella quale si erano calati, aveva esalato; elio e azoto hanno fatto si che la tragedia li colpisse contemporaneamente. Cecere, Di Matteo e Musso vi sarebbero entrati insieme senza più fare ritorno.

Solo l’allarme di un quarto operaio, rimasto fuori in attesa degli accertamenti, ha permesso di scoprire l’accaduto senza però che nulla potesse essere fatto per salvare i colleghi. C’è un tempo per stupirsi di fatti del genere; ma c’è anche un tempo per agire.

Le radici profonde delle morti sul lavoro sono purtroppo sempre le medesime, legate inesorabilmente, come tutte le vicende umane, al dio denaro e alle regole che esso impone.

La pratica irresponsabile di offrire sconti eccessivi, per centrare improbabili obiettivi di bilancio, comporta dei rischi e degli oneri che si traducono nel risparmio sulle attrezzature da lavoro, pratica diffusa per far rientrare nelle spese annuali.

I tagli, nella maggior parte dei casi, riguardano il settore “sicurezza” perché ritenuto un inutile sovraccarico economico. Ma a farne le spese sono gli operai.

Il vero risparmio si riflette sulla pelle di chi è chiamato giorno dopo giorno a calarsi in cisterne dense di soluzioni chimiche; di chi è chiamato a salire su impalcature per lavori, molte volte, in nero; di chi deve accettare lavori fuori dalla propria portata per la semplice, ma pressante, necessità di non perdere il posto di lavoro.

Così come a Capua, il discorso si estende a Torino, a Roma, a Palermo e a tutte quelle città dove il dio denaro impone le proprie regole.

Nel caso specifico di Capua, i tre operai appartenevano alla ditta Errichiello, la quale aveva ottenuto l’appalto per la manutenzione della Dsm.  La tragedia, avvenuta l’11 settembre, ancora non ha trovato i responsabili.

La magistratura di Caserta, in seguito alle verifiche compiute dal nucleo Nbcr (Nucleare, Batteriologico, Chimico e Radioattivo), ha disposto l’autopsia sui corpi delle vittime ma soprattutto ha disposto l’invio di decine di avvisi di garanzia divisi fra chi era chiamato a tutelare innanzitutto la vita degli operai, riferito ai membri della ditta Errichiello, e chi invece aveva il dovere di specificare il contenuto del silos e attrezzarsi di tutte le norme di sicurezza obbligatorie, onere che spettava alla società farmaceutica Dsm.

Inutile nascondersi dietro un dito: grandi responsabilità appartengono al “sistema lavoro” che vige nel nostro Paese. Se poi a tale situazione si aggiunge la poca domanda e la numerosa offerta in materia di appalti, il gioco è ben presto svelato: lavoro nero, norme di sicurezza trasgredite ed evasioni fiscali nascondono difficoltà che vanno ben oltre la sola “mentalità” di chi è chiamato a gestire.

Nel corso della propria vita, lo scrittore Victor Hugo amava ripetere il concetto secondo cui l’uomo è condizionato dagli eventi e che nel rapportarsi ad esso, modifica se stesso.

Questo semplice concetto, in una società come la nostra, si traduce in una necessaria presa di coscienza da parte dello Stato nel porre ditte e società nella condizione di non dover risparmiare sulla pelle degli operai per essere competitive sul mercato; il secondo passo è poi quello di vigilare sul lavoro nero e sulle loro inadempienze.

La magistratura compirà i propri accertamenti, decisa ad andare fino in fondo per capire la dinamica e i nomi di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Semmai la magistratura dovesse però decidere un giorno di indagare e incriminare il comune denominatore che porta da anni all’esistenza delle morti sul lavoro, probabilmente non basterebbero decine di registri degli indagati per scrivervi tutti i nomi.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 20.9.2010)