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(foto fonte web)
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Due processi, a distanza di anni, condannarono le donne di facili costumi, senza che però fosse loro imputato il reato della prostituzione

“Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”. Non fosse per l’italiano chiaramente medievale, potremmo pensare che l’autore del concetto sia Michele Serra anziché Machiavelli. L’autore de “Il Principe” non avrebbe mai pensato che la sua teoria della ciclicità del tempo sarebbe stata così totale e attuale anche mezzo secolo dopo.

L’annuncio del ritorno in politica di Berlusconi (“li uomini sono sempre li medesimi”) è solo una scusa per tornare con la memoria a qualche mese fa, quando il Cavaliere veniva investito dallo scandalo delle escort.

Eppure, come detto, la storia si ripete: già nell’Impero Romano c’erano stati degli scandali in questa direzione.  Un primo processo avvenne nel 295 a. C., quando alcune matrone vennero accusate di rapporti sessuali illeciti (a quei tempi ogni rapporto al di fuori del matrimonio era considerato illecito).

Curiosamente, le gentil donne non vennero accusate di adulterio, e la condanna fu diversa da quella prevista per le donne adultere: una semplice (ma salatissima) multa, con la quale venne poi costruito un tempio a (la Venere “obbediente”, ossia rispettosa delle regole).

Il secondo processo risale invece al 213 a. C.. La condanna fu molto più pesante e le matrone vennero condannate all’esilio. Ma per cosa? Come detto, le accuse non furono né di adulterio, né di prostituzione, una professione non criminalizzata nell’Impero.

Probabilmente le donne vennero condannate per il loro abituale malcostume, in quanto si procuravano vantaggi economici e sociali sfruttando i favori dei loro amanti. Un po’ come se oggi avvenenti e disinvolte ragazze vendessero il proprio corpo per ottenere lavori in televisione. “Tutti li tempi tornano”.

di Nicola Guarneri