(foto fonte web)

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Avevamo già gridato il nostro disappunto quando a novembre 2010 da Brescia i giudici avevano assolto gli imputati per la famigerata strage di Brescia del 28 maggio 1974. Il titolo “Scandalo all’italiana” non ha sortito effetti nemmeno in vista della sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia: ancora una volta assolti gli imputati Delfo , Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi.

Tutti erano stati accusati di avere avuto un ruolo nella strage costata la vita a otto persone.

Alle future generazioni non potremo raccontare che la giustizia italiana ha fatto il proprio dovere. Sia ben chiaro: non si chiedeva una condanna obbligatoria per gli imputati. Il dovere richiesto consiste unicamente nell’indicare dei nomi (a questo punto alternativi) e soprattutto i mandanti e le motivazioni di un attentato purtroppo ancora avvolto nel mistero. Davvero la vicenda è irrimediabilmente complessa oppure qualcuno ha fatto di tutto per renderla tale?

Sono le ore dieci del 28 maggio 1974 e la bomba esplode uccidendo otto persone. Non passano nemmeno due ore e i pompieri sono sul luogo della strage per ripulire la piazza da oggetti e sangue. L’episodio potrebbe indurre al plauso per la prontezza delle strutture preposte al mantenimento dell’ordine cittadino. Chi invece ha una certa esperienza non cade nel tranello: nota immediatamente che la pulizia dei vigili avviene prima dell’arrivo dei magistrati e dunque prima che la Polizia possa svolgere tutti i rilievi del caso.

Nonostante l’errore madornale nessun funzionario perde il posto di lavoro per avere ordinato ai vigili di intervenire e nessun nome è mai stato consegnato alla giustizia. Invece un nome utile viene a galla nel corso delle primissime indagini. E’ quello di Ermanno Buzzi, un uomo dell’estrema destra bresciana e che, si disse, aveva rapporti con uomini del Sid, il servizio segreto italiano in funzione in quegli anni.

Buzzi è intenzionato a fare nomi, indicare trame. La sua morte in carcere vanifica tutto. E’ la “seconda volta” che si spegne la possibilità di fare chiarezza. Nel 1979 la prima delle sentenze sulla strage di Brescia è netta: nessun colpevole. Nessun accusatore e quindi nessun accusato.

Quella di Piazza della Loggia sembra essere una storia destinata a non seguire la fine ingloriosa delle altre vicende delittuose italiane. E’ così che nel maggio 1987 ritorna viva la speranza di dare giustizia alle otto vittime. E invece si rivela l’occasione per un altro schiaffo alla giustizia italiana: tutti assolti per insufficienza di prove. Ancora nessun colpevole nonostante i tredici anni passati fra le indagini e il dramma dei familiari delle vittime.

Ma si sa che la speranza è l’ultima a morire. A differenza di quanto avvenuto in precedenza, nel 2005 vi è un’escalation investigativa: si scoprono possibili legami fra l’eversione nera (in particolare con “Ordine Nuovo”, coinvolgendo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Pino Rauti in quanto parte del movimento) e uomini appartenenti agli ambienti militari (l’istruttore militare Giovanni Maifredi, Maurizio Tramonte esperto di esplosivi e Francesco Delfino, uomo dei servizi segreti).

Stavolta ci sono testimonianze, addirittura foto, legami piuttosto chiari fra i protagonisti della vicenda. La sentenza potrebbe rappresentare una svolta non solo per la strage di Brescia ma addirittura per tutti quei casi dei quali la giustizia italiana ha sempre provato una certa riluttanza a stabilire una verità, specie in merito ai mandanti delle stragi stesse.

Ma non basta: a novembre 2010 giunge un’ulteriore assoluzione. L’appello non concede alcun barlume di speranza: aprile 2012 diventa la pietra tombale su una storia già ripulita un’ora dopo l’esplosione e lasciata invecchiare fin troppo. Oggi il contentino per le vittime è dato dalle spese processuali pagate dallo Stato. “Prendiamo atto che la giustizia italiana non è stata in grado di giungere a una conclusione” è l’amara constatazione dei familiari delle otto vittime.

Da oggi in poi la materia passerà nelle mani di giornalisti, studiosi e storici, almeno loro chiamati a comprendere qualcosa in più rispetto a chi doveva schiarire le nubi e invece ha oscurato anche quelle poche luci esistenti. Probabilmente la verità su Piazza della Loggia è un ostacolo duro da superare per uno Stato, quello italiano, certamente a conoscenza di tante collusioni avvenute in passato.

La bomba di Piazza Fontana, ad esempio, sarebbe stata un errore dovuto a un difetto dei materiali utilizzati; ma Piazza della Loggia sarebbe in realtà un altro (quasi) errore, laddove dovevano morire i Carabinieri presenti e non i manifestanti, in una logica che da “associazione” era divenuta di lotta fra Stato e criminalità all’indomani dei morti imprevisti di Milano del 1969.

Queste sono le considerazioni che emergono dalla lettura della carte della Commissione Stragi.

La giustizia italiana ha invece sparato anche l’ultima cartuccia che le restava, mirando altrove: la storia la riscriveranno altri.

di Pasquale Ragone