(foto fonte web)

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Le politiche pubbliche rivolte a tutte quelle persone con difficoltà di inserimento sociale, come possono essere i diversamente abili, quelli con patologie mentali, i minori a rischio e altri ancora, sono indice del grado di maturità, di civiltà e di democrazia effettiva raggiunta da un determinato Paese.

La società dimostra ancor più di essere progredita nel momento in cui capisce che l’intervento di tipo meramente assistenziale non può bastare – tranne ovviamente in casi gravi – o addirittura si rivela inutile in molti casi.

L’obiettivo principale di uno Stato non può non essere rivolto alla valorizzazione di quanti vivono con problemi fisici, i quali conservano tuttavia potenzialità insospettabili. Diventa fondamentale creare le condizioni affinché si concretizzi tale valorizzazione.

Tutto ciò richiede un lavoro e, visto che siamo (e ci vantiamo di essere) in una società di “libero mercato”, anche un certo impegno economico.

Molti passi avanti sono stati fatti nei decenni scorsi in tal senso. Ma in questi ultimi anni le cose stanno cambiando in peggio.

Dopo i tagli agli Enti Locali effettuati dal precedente governo Berlusconi, ora sta arrivando la “spending review” di Monti, ossia altri tagli. Non certo ai finanziamenti alle scuole private, alle banche o a tutti quei (veri) sprechi che andrebbero, quelli sì, decurtati.
Per ora la scure si infrange sui servizi essenziali.

Il taglio del 5% del budget di contratti e servizi stipulati dalla Pubblica Amministrazione difficilmente rimarrà senza conseguenze per quanto riguarda le cooperative e le associazioni (anche quelle no-profit) che si occupano di handicap.

Questo significa non solo che i lavoratori di questo settore, particolarmente delicato, vedranno abbassati i loro già miseri stipendi, ma che anche  una serie di servizi indispensabili saranno cancellati o subiranno comunque un peggioramento della qualità. E’ da tenere presente che tali misure vanno ad aggravare una situazione già negativa, frutto di precedenti riduzioni a livello regionale (almeno nel Lazio, ma di sicuro anche in altre regioni).

Per quanto riguarda l’occupazione nel settore, l’Anfass (associazione nazionale che si occupa di disabilità intellettivo-relazionale) prevede la probabile perdita di ben cinquemila posti di lavoro in tempi molto brevi. Inoltre almeno trentamila persone con disabilità rischiano di perdere servizi e strutture fondamentali, con grave danno per loro e con pesanti ripercussioni sulle loro famiglie.

La spending review si sta abbattendo anche sulla scuola e – visto che il discorso riguarda i diversamente abili – pure sugli insegnanti di sostegno.

Per quest’ultimi non è previsto, in teoria, nessun taglio in modo esplicito (anche perché già ce ne sono stati nel recente passato), però è in programma una manovra tesa a specializzare tutti gli insegnanti nel sostegno, a scapito di quelli già esistenti e che da anni lavorano in modo specifico in quest’ambito con la loro professionalità.

In futuro decadrà la figura di insegnante specifico, con evidenti conseguenze negative sia per gli educatori (che diventeranno dei fac-totum) sia per i ragazzi disabili (i quali dovranno usufruire di un servizio meno specifico, appunto, rispetto al passato).

In sintesi, se il grado di civiltà, di progresso e di democrazia di un Paese si misura anche dal modo di intervenire su quanti vivono situazioni di disabilità, non c’è dubbio che in Italia abbiamo già da anni imboccato la via del regresso con il rischio di fare gravi passi indietro.

A volte viene da domandarsi quanto siano (diversamente) abili gli ultimi governi italiani.

di David Insaidi