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sesso
(foto fonte web)

Storie

Un labirinto di sensazioni si cela sulle strade del sesso. Sono tutte uguali, da quelle siciliane a quelle calabresi, fino a salire per la Campania, toccare il Lazio ed approdare ai confini di un’Italia che vede, svela e si dispera solo quando, ormai,  il dado è tratto.

Tacchi a spillo, gonne che non si vedono ed atteggiamenti sospesi tra un amplesso e l’altro, sono l’istantanea inquadratura di una prostituta che ogni sera si divincola dal proprio protettore per scaricare il proprio corpo nell’auto di quel cliente che, forse, è il vero persecutore.

Questa è la storia delle donne nigeriane, di quelle rumene, delle colleghe albanesi oltreché di quelle bulgare e sudamericane. E’ una storia che è stata già scritta più volte sui marciapiedi di un’Italia che si scandalizza ma allo stesso tempo le attrae e le schiavizza. L’esistenza della prostituzione è dettata dalle stesse regole del mercato, dalla domanda e dall’offerta.

C’è un’Italia che combatte le sfilate del sesso sulle strade, ma un’altra parte della stessa Italia ne agevola gli incassi e l’esistenza.

Questo è stato il destino di Svetla Fileva, una prostituta bulgara di 30 anni, che alle sei della mattina del 9 settembre scorso, ha smesso di sognare riversa in una pozza di sangue. Dieci o quindici coltellate al torace ed all’addome, ma solo una inferta al collo ha spento i riflettori su una ragazza alla ricerca del proprio futuro e che ha lottato fino alla morte contro il proprio aguzzino.

L’omicida

Qualche ora dopo, l’efferato omicidio aveva già un indagato. Kevin Montolli, un ragazzo di 19 anni di Merano, avevo deciso la morte per Svetla Fileva. Forse un amplesso incompiuto o l’essere deriso hanno innescato la voglia di vendetta di quell’apprendista panettiere che qualche anno prima aveva già minacciato e derubato una prostituta. Era stato lasciato dalla propria ragazza e, forse, senza trovarlo aveva cercato riparo ai Piani, quartiere macchiato dalla prostituzione.

Le telecamere del Centro Profughi dell’ex Caserma “Gorio” hanno ripreso l’omicidio come fosse un film, un ricordo di venti anni prima. Piani, oggi come ieri, il quartiere della prostituzione. Oggi come vent’anni fa, la morte ha avuto la meglio su queste donne che hanno combattuto  contro quel coltello che le ha trafitte.

Le parole di Montolli: “Mi ha deriso e l’ho colpita”, per assonanza di tragicità richiamano alla memoria quell’espressione che vent’anni fa tuonò dalle labbra di Marco Bergamo: “Mi è esplosa fuori una rabbia interiore, ho preso il coltello che avevo messo sul tappetino posteriore e ho iniziato a colpirla, ma da quel momento non ho più ricordi precisi”. Lo stesso luogo, la stessa arma e due uomini derisi, forse delusi ed allo stesso tempo soli.

Quei segnali di morte

Una situazione familiare difficile, troppe tensioni con i genitori ed una ragazza che lo ha lasciato. Ha subito l’abbandono. I suoi commenti su Facebook sono stracolmi di rabbia e lamentano di essere stato preso in giro. Una parvenza di solitudine che ha bisogno di distrazione. Una distrazione forse consueta.

Il bisogno di rifugio o ricerca di consolazione. Secondo gli agenti della Squadra Mobile, Montolli era un cliente della prostituta bulgara. E’ stato lasciato da una donna e deriso da l’altra e, forse, lo status di quest’ultima, simbolo della sottomissione sessuale, hanno armato la mano del diciannovenne che non si liberato da quel “padrone rigido ed inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente” (Alessandro Manzoni).

di Luca Fortunato