(foto fonte web)

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Esistono storie di persone  sempre pronte a prodigarsi per il prossimo ma che troppo spesso finiscono inghiottite dal male. Più c’è esposizione, più è alto il rischio di diventare bersagli mobili. Maria Luigia è nata e cresciuta a Genova, non ha una laurea in medicina ma a modo suo fa del bene; molti uomini si succedono nel suo piccolo monolocale in vico Indoratori, nel cuore dei Caruggi.

Una vita impossibile

“Antonella”, cosi è solita chiamarsi Maria Luigia Borrelli, dentro quelle quattro mura vende il suo corpo. Ogni mattina, i suoi due figli sono convinti di vederla uscire per le solite visite domiciliari in veste di infermiera specializzata nell’assistenza agli anziani. Ma non è cosi.

Quella madre si reca nella piccola garconnierre dove è possibile scorgere vecchi, artigiani, signorotti locali o delle zone limitrofe. Per guadagnare di più, Maria Luigia offre sesso senza preservativo, inimicandosi le prostitute del quartiere.

Sono tanti, troppi, i sacrifici ai quali è chiamata dal giorno della tragica morte del marito, rilevando nient’altro che un bar sommerso dai debiti. L’unica soluzione? Ricorrere ai soldi degli usurai.

E’ necessario realizzare più denaro possibile; e non è il semplice atto sessuale ad attirare gli uomini in quel piccolo appartamento, piuttosto il modo affabile della donna, le sue carezze, la sua bontà, la sua vena materna pronta a consolare o far sfogare quei clienti un po’ bambini, pronti a trattenersi fra le braccia anche un’ora o due dopo l’amplesso.

Un’enigmatica scena del crimine

Il 5 settembre 1995 nel piccolo vico Indorati, Maria è trovata esanime dalla padrona del monolocale in concessione. Il killer potrebbe nascondersi tra i tanti  nomi che affollano l’agendina della donna. Venti metri quadrati diventano dunque un’enigmatica scena del crimine. Dalle risultanze medico legali si evidenziano numerose ferite lacero-contuse al cranio prodotte per azione di un corpo contundente, verosimilmente uno sgabello ritrovato nell’appartamento.

Quel corpo ormai senza vita sembra parlare: vi è stata colluttazione. Evidenti segni di percosse e ferite sulle caviglie e sulle braccia raccontano di un’ultima disperata difesa; forse Maria Luigia ha già perso i sensi quando la furia omicida di quest’ombra sconosciuta si abbatte definitivamente su di lei. Un trapano black& decker, sedici volte trafisse la sua gola, martoriandola.

Forse Maria gridava troppo? Un tentativo assoluto di mettere a tacere la sua disperata richiesta d’aiuto, inascoltata; perché nei carruggi brulica la confusione, le vite si mischiano e con esse i suoni, i pianti, le risate e le bestemmie ma nessun testimone. Quella che si mostra è una scena del crimine attentamente ripulita tranne che per due piccole due macchie di sangue riconducibili ad un Dna maschile.

Cade per tal motivo l’ipotesi di una prostituta vendicativa. Gli investigatori  ragionano sulle lettere d’ amore recapitate in vico Indoratori. Non emergono però elementi rilevanti. Nessuna violenza sessuale. L’assassino non ha portato via nulla; ha soltanto preso le chiavi, chiuso la saracinesca alle spalle ed è scappato via.

Due suicidi

Nella vicenda entra da protagonista il proprietario del trapano che aveva fatto lavoretti nel fondo della signora Borrelli, anch’egli cliente affezionato di “Antonella”. Nessuna premeditazione nella dimenticanza dello strumento nell’appartamento.

Eppure, l’uomo si uccide qualche tempo dopo gettandosi dalla finestra per il forte carico di stress derivante dalla vicenda, prima ancora di essere scagionato dall’esame del dna.

Una lettera ne accompagna il gesto, proclamando l’innocenza dell’uomo. Il mistero nel mistero prende forma da quando si apprende la notizia del secondo suicidio; la padrona di casa di Maria Luigia compie il gesto estremo consegnandosi ad una massiccia dose di barbiturici.

Nessuna lettera di accompagnamento. Questa seconda morte potrebbe avere un peso non indifferente nella storia e dovrebbe essere esaminata con la lente d’ingrandimento. Lo scrittore Vicente Blasco Ibanez scrisse nel  1896 in una pagina di “Il paese dell’arte”:

Genova è la città dei contrasti, dei grandi palazzi e dei miseri caruggi … ad eccezione di mezza dozzina di grandi strade che, tracciate a caso, costituiscono la spina dorsale della città, le altre vie si chiamano “vicoli” e ve ne sono di quelli che sono vere scale per le quali non si può transitare senza agguantarsi ad una rugginosa ringhiera di ferro (…) anche sulle vie principali, le grondaie dei palazzi, sostenute da cariatidi, si toccano quasi e lasciano passare attraverso lo stretto spazio libero la viva luce del mezzogiorno.

Una luce che forse non schiarirà mai le ombre scure che si nascondono dietro vico Indorati, quella piccola stanza buia, quelle morti misteriose ed il loro scomodo segreto.

 

di Alberto Bonomo