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(foto fonte web)
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Il giallo di Alina Cossu e la ricerca dell’assassino

Si dice che il mattino presto sia l’orario migliore per andare a pesca, sedersi lì dove l’onda sbatte e ribatte, ascoltando l’unico suono di una pace assoluta. Una canna conficcata nella sabbia, un filo teso sul mare che si risveglia e con esso i pesci affamati. Sta per arrivare la luce del 10 settembre 1988, l’alba svelerà a due pescatori di Abbacurrente, nei pressi di porto Torres, un triste segreto nascosto dalle tenebre della sera prima.

A pochi passi dal luogo d’inizio della battuta di pesca, alcuni scogli a pelo d’acqua, soliti trattenere plastica, rami alla deriva e improbabili relitti, quella mattina trattengono, quasi come a non volerlo lasciare andare, il corpo senza vita di Alina Cossu.

L’autopsia svela…

La sorella Franca è costretta a riconoscerla su quella triste spiaggia. Alina era scomparsa la sera prima dopo aver prestato servizio nel bar in cui lavora, principalmente per pagarsi gli studi; da poco frequentava la Facoltà di biologia. Una ragazza solare, estroversa, con un grande senso del dovere; poco in comune con quei 21 anni.

A giudizio del medico legale che ha effettuato le prime analisi, il corpo è stato brutalmente percosso; Alina è stata picchiata a morte. L’autopsia successivamente confermerà le prime indiscrezioni: dopo essere stata malmenata selvaggiamente, la ragazza è stata strangolata.

Non sono riscontrabili lesioni che possano far emergere estremi di una violenza sessuale, ma dalla natura dei colpi è possibile dedurre che l’aggressione sia avvenuta in spazi molto ridotti.

In città lo sgomento lascia il posto solo alla rabbia: chi ha ucciso? E perché? Gli inquirenti raccolgono piccoli tasselli che potranno in seguito essere utili per dare un volto all’assassino. E’ certo che Alina, terminato il suo turno di lavoro in gelateria,  abbia chiesto ad un collega un gelato per cena; non ha molto appetito. Sembra aspettare qualcuno.

Il primo indiziato

Non passerà inosservata quella sera. Ben vestita, curata, indossa una gonna; chiede al fratello di non passarla a prendere per quella volta. Quella notte passerà il suo assassino e la porterà via per sempre, ma lei questo ancora non lo sa.

Dal punto di vista  vittimologico, analizzando la vita della studentessa, risulta altamente probabile che non sarebbe mai salita in auto con uno sconosciuto; alla luce dell’assenza di relazioni sentimentali stabili o ufficiali, gli inquirenti  concentreranno le attenzioni sulle amicizie della ragazza.

L’indiziato principale si chiama Gianluca, di due anni più grande e all’epoca fidanzato da tre con una coetanea. La sorella riferisce per certo che Alina provasse qualcosa per quel giovane.

Sono tanti gli indizi contro di lui. Per cominciare  gli investigatori avvicinano la lente di ingrandimento su quella patente appena presa dalla ragazza e sulla sua voglia irrefrenabile di guidare.

Puntano il dito su quella Fiat Ritmo che alcuni pescatori rammentano aver visto compiere numerose manovre nelle vicinanze della spiaggia. Gianluca possiede quell’auto.

La dinamica

Facendo leva su questo desiderio potrebbe averla convinta a seguirlo. Come se non bastasse vengono a galla nuove testimonianze. In passato il ragazzo ha tentato un abuso su tre donne ma questo purtroppo non basterà a togliere ogni dubbio sulla paternità dell’atto.

Gianluca ha un alibi: sta con gli amici tutta la sera prima di tornare a casa per le 23.30 nonostante il fratello di Alina sia pronto a giurare di averlo visto tornare verso casa ben oltre la mezzanotte.

Se quest’ultima circostanza fosse vera, avrebbe avuto tutto il tempo necessario per compiere il gesto estremo. Nella possibile ricostruzione si parla di una colluttazione avvenuta nell’ auto. Al primo tentativo di violenza la studentessa si sarebbe dunque difesa con le mani e con le unghie, vana difesa dinanzi la furia omicida.

Dopo essere stata picchiata selvaggiamente e avere battuto la testa contro l’abitacolo, la ragazza svenuta sarebbe stata lasciata morire in quel mare più buio e nero del solito.

Come se non bastasse, durante gli interrogatori emerge l’ipotesi che Gianluca abbia graffiato e lottato con la vittima. Lo dimostrerebbero i segni sulle braccia e il fatto che la suola delle sue scarpe è compatibile con la forma rinvenuta sul viso di Alina.

Sembra fatta ma non è cosi, il gip rilascia l’unico vero sospettato: ci sono errori investigativi come il non aver recintato il luogo del ritrovamento del corpo, le scarpe sono state solo fotografate e non sequestrate e non c’è il verbale del controllo della auto.

Gianluca è libero. Altre piste prese in considerazione non porteranno a nulla. Per questo oggi, dopo 24 anni e un assurda archiviazione della magistratura, la famiglia chiede che vengano riaperte le indagini con la riesumazione del cadavere di Alina.

Le sofisticate tecniche scientifiche moderne, una chimera al tempo, potrebbero dare finalmente risposte chiare su quella morte cosi inspiegabile, così tristemente vera.

di Alberto Bonomo