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Rivoluzionario per la scuola laica, figura politica per gli atei, professore dell’illusionismo e pranoterapeuta per gli scettici, semplice profeta per il Corano e la Torah, discutibile per i rabbini ultraortodossi, mai venuto al mondo per i negazionisti, figlio di Dio per i Cristiani: era Gesù di Nazareth, realmente esistito. Una figura storica che per certi versi è stata oggetto di controversie interpretative sul piano temporale.

Ma Gesù di Nazareth era ebreo o palestinese? Questa domanda ha interessato molti studiosi, ricercatori; ma per potere rispondere a questi interrogativi bisogna ricondurre inevitabilmente la sua figura al tempo in cui visse.

In quel tempo…
Ai tempi di Gesù, l’odierno Stato d’Israele si chiamava Giudea e confinava con la Galilea, regioni che racchiudevano rispettivamente Gerusalemme e Nazareth, luoghi cardini per la vita del ‘nazareno’. Prima della nascita di Gesù, quella stessa porzione di terra era definita ‘Terra di Canaan’, ossia abitata da popoli pacifici come i cananei e filistei (pheleset) il cui termine cambiò in Palestina.

Secondo quanto approva Erodoto e le scritture greche, furono proprio i ‘Judei’  a provocare il primo massiccio esodo da quella Regione, confinando nell’odierna Siria i sopravvissuti (i pheleset, odierni palestinesi). Bisogna attendere il 135 d.C. per ritrovare negli archivi storici il nome di Syria Palestina, che sostituì il nome di Judea.

La premessa si rende necessaria al fine di produrre una ricostruzione politico-temporale e comprendere i luoghi del ‘Figlio dell’ Uomo’.

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Le radici di Gesù
Lo studioso Giorgio Bernardelli inquadra la figura di Gesù in inequivocabili radici ebraiche, evidenziandole nelle preghiere nel tempio, letture dei salmi, che raggiungono l’apice della catarsi teologica nel momento della profetica chiamata teurgica al Padre. Altresì, il rapporto sibillino, intimamente spirituale con il Padre, le forme di insegnamento, sono la nomenclatura classica da cui è facilmente riconducibile l’appartenenza alla messianicità ebraica di Gesù.

Gli studi prodotti dal prof. Mauro Pesce, ricercatore storico, esprimono a riguardo interessanti tesi che non si discostano tanto da quelle prodotte dal Bernardelli e che producono conferme sostanziali sull’ebraicità di Gesù, nato 5.772 anni addietro nell’era ebraica: “Gesù era pienamente ebreo anche nell’uso della lingua, anche se è molto probabile che colloquiasse sovente in aramaico, intercalare comune e dialettale della Galilea, regione in cui visse Yehoshua ben Yosef ( Gesù)”

La sua ebraicità, secondo tali tesi, sono avvalorate da elementi teodicee di tale taglio: la rivelazione ai profeti del Dio unico, la sacra alleanza con Mosè (al quale rivelò l’indissolubile patto con il popolo ebraico), le usanze alimentari, il modo di pregare (Marco, 12, 28b-34: “Shemà Israel, Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima” ).

Ricollegandosi alla tesi del Bernardelli, sull’evocazione al Padre nostro, il prof. Pesce rimarca con forza il concetto che tale rapporto, proteso ad unire il figlio tramutato in carne al Padre supremo (inteso come entità spirituale) non è solo una preghiera ma un’evocazione del Kaddish (antica evocazione mai inveterata da Gesù).

Queste ed altre tesi provengono, in sintesi, da molti ricercatori che attestano la naturale ebraicità di Gesù. Vi è da dire che, purtroppo,  il concetto di  nazionalità di Gesù, il rispetto per la sua figura di figlio di Dioe di uomo, sono state spesso incanalate in congetture marcatamente ideologiche che hanno spostato il baricentro dell’imparzialità storica, macchiandosi di matrice faziosa.

Palestina: verità o no?
Ci si riferisce a quelle tesi, prive di fondamento storico e logico, che vogliono il Figlio dell’Uomo come primo martire palestinese o che conducono la sua nascita a Betlemme (odierna Gerusalemme Est, territorio palestinese, divisa da Israele dal muro dell’apertheid), come un segno indelebile del rifiuto all’autorità politica israeliana (additando i giudei come “deicidi”).

Storicamente sappiamo che Gesù venne condannato a morte dal Tribunale romano dopo un processo, con tanto di dileggio e torture tipiche dell’esercito che dominava Israele (Matteo, 27, 24-26) seppur consegnato dagli stessi giudei (Giovanni, 18, 35: “Pilato disse a Gesù: sono forse io giudeo? La tua gente ed i tuoi sommi sacerdoti ti hanno condotto qui da me..).

E non è direttamente additabile a Gesù di Nazareth la fondazione del Cristianesimo e ancor meno della Chiesa cattolica, i quali vedono in Paolo di Tarso, un secolo dopo la morte di Gesù, il diretto “organizzatore”.

Al di là di tali disquisizioni, che vanno dal politico al teologico, è assurdo collegare le attuali problematiche storiche ed ideologiche della terra di Gesù alle conseguenze storiche della sua vita e della crocifissione, nonché al dogmatismo che ne è scaturito nei secoli.

di Domenico Romeo