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Una nuova era all’orizzonte? 
Un compleanno è per sempre. Per questo rimarrà scolpita nella memoria di tutti i palestinesi la data del 29 novembre, giorno in cui l’Assemblea dell’Onu ha riconosciuto il Paese del Medio Oriente come uno Stato non membro e ‘osservatore’ delle Nazioni Unite. Tradotto: il più alto e prestigioso organo internazionale, ha formalmente riconosciuto l’esistenza della Palestina.

A cantare Don’t cry for me Palestina, sono stati in pochissimi, solo 9 i Paesi che all’assemblea hanno votato ‘no’ alla proposta, fra i quali spicca l’immancabile nemico di sempre Israele e la super potenza Usa, oltre a Canada e Repubblica Ceca.

La Palestina non può piangere, perché dall’altra parte è fortissima l’onda dei sì, che si è abbattuta contro i 9 giudizi negativi con ben 138 voti favorevoli. Un’onda forza 138 trainata da Francia e Spagna e alla quale ha partecipato con convinzione anche l’Italia.

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Il nostro presidente Monti ha fatto preparare un comunicato di adesione direttamente da Palazzo Chigi, come a voler prendersi la responsabilità di una scelta tanto spigolosa quanto – ricordiamolo – coraggiosa, perché sfida il diktat statunitense.

Un Monti che ha voluto rispecchiare “dopo tanto sbandare” la volontà della maggior parte dei cittadini italiani, favorevoli allo slogan “due Stati per due popoli”. Una scelta non scontata: l’Italia sarebbe potuta finire anche nel calderone dei 41 Paesi che non si sono schierati, quegli astenuti che forse non hanno avuto la forza per votare contro Usa e Israele pur volendolo, come Regno Unito e Germania. Quello che è certo è che la carica dei 138 spera che questa piccola grande rivoluzione istituzionale sia il primo passo verso la pace tra i due popoli.

I negoziati futuri: la nuova speranza
“Mi impegno a rianimare i negoziati con Israele” fa sapere subito un raggiante Abu Mazen, capo del popolo palestinese, che ha anche chiesto “un certificato di nascita per lo Stato” e ha sottolineato di “non voler delegittimare Israele, bensì di voler legittimare la Palestina” e ancora di “guardare all’Onu con la speranza che arrivi un futuro di giustizia e di pace”.

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Chi non si fida del buonismo palestinese è il diplomatico israeliano Ron Prosor, che non crede che la decisione Onu “garantisca la sicurezza necessaria per arrivare a una pace duratura” e che, anzi, ammettere la Palestina nell’Onu significa “allontanare la pace”. Il presidente israeliano Benyamin Netanyahu, ha invece specificato come quello che è da molti visto come un passaggio fondamentale per la Storia “non cambierà nulla”.

Effettivamente sulle decisioni Onu prevarrà sempre il veto degli Stati Uniti, i quali hanno la possibilità di ostacolare con un voto contrario il riconoscimento pieno e ufficiale del Paese da parte delle Nazioni Unite. Intanto però, questo piccolo passo porta alla Palestina la possibilità di rivolgersi alla Corte Internazionale dell’Aia per una decisione sugli insediamenti considerati illegali degli Israeliani sul territorio che il popolo di Abu Mazen sente suo.

L’ultima fase…
Perché non chiedere subito all’Onu un riconoscimento pieno, anziché il semplice status di Paese ‘osservatore’? In realtà la Palestina aveva già tentato il passo più lungo nel settembre del 2011, ma già allora Washington si era messa di traverso esercitando il diritto di veto. E questo strapotere a stelle e strisce potrebbe rivelarsi fondamentale anche nelle decisioni future di Abu Mazen, il quale non è stato chiaro sulla possibilità di chiedere risarcimenti all’Aia contro Tel Aviv.

L’unica certezza è che il mondo intero ha voluto dare un segnale forte sulla questione. Il vento della speranza ha preso a soffiare anche sulla striscia di Gaza, dove la guerra è pane quotidiano. I 138 coraggiosi dell’Onu credono che attraverso questa apertura verso un popolo che c’è, ma non esiste, sia più facile raggiungere una pace che ora sembra solo un sogno.

Un sogno in cui si vuole e si deve credere.

di Luca Romeo