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Per ideazione suicidiaria si intende una condizione esistenziale caratterizzata dalla prevalenza di idee che hanno come argomento la morte, intesa dal soggetto come possibile via di fuga rispetto a una situazione di vita giudicata negativamente o senza via di uscita.

Per suicidio si intende un comportamento autolesivo realizzato con l’intenzione di procurarsi la morte e il cui esito dipende dall'”idoneità del mezzo usato nell’atto, dall’intenzionalità dell’atto.

Per mancato suicidio si intende un atto autolesivo ove l’intenzionalità e la determinazione sono presenti, ma il mezzo non risulta idoneo a raggiungere il fine.

Per tentato suicidio  si intende invece un atto autolesivo ove l’intenzionalità è presente, il mezzo è idoneo, ma è assente la determinazione. Queste due ultime condotte autolesive definiscono il parasuicidio. Infine, il suicidio accidentale è un atto autolesivo che, pur agito inizialmente con sole valenze dimostrative, finisce per giungere a un risultato fatale per motivi al di fuori del controllo del soggetto (ad esempio, sinergia fatale fra alcol e sostanze psicoattive, soccorsi giunti in ritardo ecc.)

I giovani e il suicidio
Numerosi sono i giovani che vanno incontro alla morte, ma apparentemente non si tolgono volontariamente la vita. La lista è, purtroppo, lunga e comprende i giovani vittime delle pazze corse in auto, dopo aver trascorso la notte nelle discoteche e nei night; i giovani che si sdraiano sulle rotaie per sfidare il treno in corsa o che si stendono nel centro di un’autostrada per sentire il brivido dello sfrecciare rasente dei copertoni, o, sempre in autostrada, a bordo di fuoriserie marciano contromano a forte velocità;i drogati che si iniettano un’overdose; i temerari della roulette russa. Il disprezzo della vita è una non dichiarata volontà di morte. Il ragazzo che cerca l’ebbrezza con la droga, l’alcool, il pedale dell’acceleratore a tappeto è in realtà un depresso, afflitto da gravi inconvenienti psicologici. L’alcool, la droga, la sfida contro la morte giocano un ruolo enorme nel suicidio.

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Fattori che possono indurre al suicidio
Lo psicologo Aul G. Quinnet sostiene che l’abuso dell’alcool elimina la paura, esaspera le tensioni interne buone e cattive, autorizza il giovane a dire e a fare ciò che gli viene in mente, a commettere le azioni più spericolate; l’alcool è un efficace lubrificante della morte. Studi recentissimi hanno dimostrato che il 90% degli alcolizzati e più di un terzo di non alcolizzati, prima di uccidersi, ha bevuto almeno un bicchierino.

Le statistiche USA attribuiscono ai suicidi provocati con l’uso dell’aiuto una percentuale elevata. I metodi più frequenti a cui ricorrono i giovani sono: il veleno, il gas, l’impiccagione, il colpo di rivoltella, lo schianto con l’auto, il tubo di scappamento, il salto nel vuoto sotto un treno, l’annegamento, il taglio delle vene. C’è dunque poca differenza tra il giovane che inconsapevolmente si uccide con una corsa dissennata in auto, dopo essersi stordito con balli sfrenati, crack, musica assordante per tutta la notte ed il giovane che consapevolmente si uccide dirigendo l’auto contro un ostacolo. Un ragionamento analogo vale per l’infelice che si inietta nelle vene una dose mortale: il grilletto è la fuga dalla tristezza, la ricerca della felicità attraverso l’uso della siringa. La causa consapevole o non consapevole della rinuncia alla vita, da parte dei giovani, è la depressione nelle sue molteplici manifestazioni.

Perdita del senso di realtà
Il tentativo di suicidio costituisce una perdita del senso di realtà a proposito della morte, così che la depressione è più da intendersi nel senso di una malattia depressiva con vulnerabilità nei confronti di un funzionamento psicotico. Immaginare che non tutti gli adolescenti che compiono tentativi di suicidio siano sofferenti per qualche grave malattia non è sostenibile, poiché, anche quando si tratta di un gesto isterico, debbono esserci delle cause più profonde perché una persona compia un gesto di questa particolare natura.

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Un gesto estremo
Il tentativo di suicidio rappresenta una delle condotte più significative dell’adolescenza. Per la frequente impulsività che è alla base della sua realizzazione pone il fondamentale problema, caratteristico di questa età, della messa in atto, del passaggio all’atto. In ragione dell’attacco diretto al corpo illustra la completa rimessa in discussione del rapporto che l’adolescente ha con il proprio corpo. In ragione del desiderio di distruggere le immagini interne, rappresenta una messa in scena caricaturale del “lavoro di lutto” che quello stesso adolescente deve compiere. In ragione del contesto depressivo che abitualmente lo circonda, il tentativo di suicidio pone infine il problema della depressione in quanto vissuto esistenziale tipico dell’adolescenza.

Per alcuni autori il tentativo di suicidio non riflette necessariamente l’esistenza di un disturbo di personalità nell’adolescente, infatti secondo Davidson: «un gran numero di adolescenti suicidi devono essere considerati normali o affetti da disturbi lievi, probabilmente passeggeri». All’opposto, altri autori vedono il tentativo di suicidio il segno di una distorsione sempre grave della struttura di personalità in corso di riorganizzazione in adolescenza. Il tentativo di suicidio deve essere compreso come un gesto estremo, e perciò disperato, per mantenere o ristabilire una relazione con gli altri spesso fino ad allora disprezzata.

Amore, odio, preoccupazioni e…
Molti tentativi di suicidio seguono uno scontro con i genitori, e questo può essere utilizzato per esaltare l’evento. In queste occasioni questi adolescenti sono pieni di rabbia e di odio, ed il loro detestare se stessi viene rinforzato.

L’amore e la preoccupazione per se stessi e per i propri genitori possono più facilmente venire messi da parte. Essi considerano colpevoli i genitori: sono loro, non l’adolescente, ad essere considerati responsabili per l’attacco suicida contro quel bambino i cui genitori sono visti come non sufficientemente amorevoli.

Il suicidio non è solo un attacco all’adolescente stesso, ma anche alle persone che sono importanti per lui in quel momento. Molti adolescenti si sono lamentati perché un’ovvia preoccupazione e l’amore dei genitori rendeva loro impossibile uccidersi. “Perché dovrei vivere io per loro?” è la comune protesta. “Non aiutatemi” contiene la supplica: “Non mettetemi in contatto con la mia colpa, non rendetemi più difficile uccidere me stesso. Lasciatemi odiare me stesso ed i miei genitori” .

Senso di potere?
Quando gli adolescenti si sentono insostenibilmente privi di controllo, vulnerabili e senza aiuto, l’idea del suicidio dà loro un senso di potere sopra le loro stesse vite ed un’arma da usare contro gli altri. Questa idea dà loro la possibilità di coltivare una fantasia nella quale è il genitore o il terapeuta che viene visto – ed in effetti, viene fatto sentire – come impotente e privo di aiuto. Anche nel pieno della disperata ricerca di aiuto da parte dell’adolescente, rispetto a qualcuno o a qualche speranza a cui sarebbe possibile aggrapparsi, sembra prevalere la paradossale trionfante determinazione di provare a se stessi di essere al di là di ogni possibilità di aiuto.

Di Krizia Lestingi

 

Testi consultati:

D. Marcelli – A. Braconnier, Psicopatologia dell’adolescente, Masson, Milano, 1994