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Se fino a qualche tempo fa la morte rappresentava lo stadio finale del ciclo vitale di tutti gli esseri viventi, oggi alcuni scienziati affermano la possibilità di sostituire all’estinzione della specie animale una “morte reversibile”. In questa direzione, muovono i primi passi scienziati del calibro di George Church, genetista presso l’Harvard Medical School, consapevoli del fatto che la rigenerazione della specie sia un settore tanto affascinante quanto complesso.

Ad oggi, frutto di questa operazione scientificamente “miracolosa”, praticata secondo un metodo analogo a quello che diede vita alla pecora Dolly (primo mammifero ad essere stato clonato con successo da una cellula somatica), è la nascita di uno stambecco iberico. La rigenerazione del piccolo, nato nel 2003 e vissuto solo per qualche minuto, era stata ottenuta per clonazione a partire da alcune cellule congelate prelevate dall’ultimo esemplare della sua specie.

Tale processo di clonazione comporta l’estrazione di una cellula somatica dalla ghiandola mammaria di un animale adulto e di una cellula uovo (ovocita) da un altro animale. Il nucleo della cellula mammaria viene inserito nell’ovocita, con il conseguente duplicarsi della cellula. Si origina, così, un embrione che, impiantato nell’utero di una femmina, si svilupperà fino al parto. L’animale che verrà riprodotto sarà geneticamente identico a quello da cui è stata estratta la cellula mammaria.

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Un altro tentativo è stato, inoltre, effettuato da alcuni scienziati australiani per rigenerare la Rheobatrachus silos, una singolare varietà di rana estinta da circa un quarto di secolo; ma, i loro proficui sforzi, descritti nella conferenza di Washington, hanno prodotto degli embrioni sopravvissuti solo allo stadio iniziale.

Scoraggiante risultato? Non si direbbe, vista la forte tenacia con cui gli scienziati coltivano l’ idea di riportare in vita mammut lanosi, piccioni migratori, cavalli vissuti nello Yukon settemila anni fa.

Ma il “miracolo scientifico” richiede pazienza: potrebbero, infatti, trascorrere degli anni prima che una specie si rigeneri. Inoltre, non sempre è possibile disporre di una cellula intatta proveniente dalla specie estinta, per “estrarne copia vivente”.

Ed ecco intervenire le nuove tecnologie che, attraverso l’impiego di materiale genetico, consentirebbero di sviluppare una nuova modalità di rigenerazione delle specie estinte. Si tratta di introdurre nel Dna delle cellule della specie esistente porzioni di Dna della specie scomparsa, che si vuole rigenerare e che è strettamente imparentata alla prima.

Da tali segmenti di Dna, rinvenuti dal permafrost, a detta di Church, si otterrebbero cellule ibride conseguentemente impiegate per la donazione, con lo scopo di dar vita ad un animale che possieda una quantità di Dna della specie estinta, sufficiente a renderlo molto simile ad essa.

Questi tentativi scientifici di riportare in vita animali ormai scomparsi, sembrerebbero quasi un modo per rendere giustizia a quelle specie, della cui estinzione l’uomo è stato parte delle cause.

Dunque… «Siamo noi gli assassini. –Sostiene Hank Greely, direttore del Centro per la legge e le bioscienze dell’Università di Stanford, parlando del piccione migratore-. Siamo stati noi a causarne l’estinzione. Non spetterebbe dunque a noi riportarli in vita?»

di Annalisa Ianne