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(foto fonte web)
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Messaggi in codice, rebus, supertestimoni, è una storia senza fine quella di Emanuela Orlandi scomparsa il 22 giugno 1983; trent’anni di lotta per i familiari, una vita passata gridando quel nome, nella speranza di scoprire la verità nascosta dietro anni di omertà.

Il mistero sepolto

Quindici anni, figlia del messo pontificio Ercole, fu vista per l’ultima all’uscita dalla scuola di musica e poi più nulla. Per tantissimi anni, chiunque si sia avvicinato a questo caso, non ha potuto far a meno di sentire nitidamente come una presenza nera, reale, tangibile, pronta ad avvolgere e proteggere i misteri che vestono la storia di Emanuela Orlandi. L’inquietante tocco di una mano nascosta, di tante mani nascoste.

Segreti imprigionati tra fitti rovi impenetrabili, per tanti anni hanno tenuto nascosto “la verità”, dentro uno scrigno ben sigillato. Gli anni passano, il tempo e il suo trascorrere modificano luoghi cose e persone. Oggi, infatti, la luce riesce a filtrare permettendoci di scorgere qualcosa; anche le persone sono cambiate e proprio quasi in concomitanza del trentesimo anniversario di quel triste pomeriggio, qualcuno ha deciso di parlare.

La verità di Accetti

È stata una scelta graduale, prima un indizio, poi un altro; prima il flauto, verosimilmente quello appartenuto a Emanuela, (le tracce ritrovate non permettono di risalire al Dna), poi la decisione di parlare e “dire”. Marco Fassoni Accetti, il fotografo d’arte, ha dichiarato ufficialmente di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi e di essere stato uno dei componenti del «nucleo di controspionaggio» capace di condizionare le scelte del Vaticano.

Troppi i retroscena conosciuti dall’uomo per essere un bluff, cosi tanti particolari da essere ben presto indagato dalla Procura per sequestro di persona aggravato dalla morte dell’ostaggio. Il supertestimone avrebbe rivelato che «la materia del contendere era la gestione dello Ior di Paul Marcinkus, con riferimento alla restituzione della montagna di soldi del crack dell’Ambrosiano…e il Monsignore americano era contrarissimo perché avrebbe comportato la sua fine politica».

Il “nucleo” (anche per conto degli avversari del banchiere) avrebbe agito sfruttando proprio il caso Orlandi. La prova delle veridicità delle sue affermazioni sarebbe scritta nella storia: «Fummo noi a dettare i tempi con quella lettera, dal momento che poi, effettivamente, l’intesa Ior-Ambrosiano fu raggiunta nel maggio del 1984 a Ginevra, con il versamento di 400 milioni di dollari alle banche creditrici».

La svolta della Procura

Sono passati solo pochi giorni dalle incredibili dichiarazioni della Procura di Roma nella persona del Procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo: «Emanuela Orlandi è morta, ma il caso è vicino alla risoluzione». Mai come oggi, nell’interminabile indagine costruita sulla sparizione della giovane studentessa di musica, si è respirato un fiducioso profumo di verità, sebbene si parli pur sempre della vita sacrificata di una giovane vittima innocente.

Il cambio di rotta è stato dettato dai recenti interrogatori; nove incontri interminabili tra confessioni e memoriali. Pare che Accetti sia stato uno dei laici che, aiutati dai servizi segreti dell’est, avrebbero lavorato per gli interessi di alcuni potenti ecclesiastici.

Un gruppo attivo dalla fine degli anni Settanta a tutti gli anni Ottanta, con l’obiettivo di compiere azioni di «pressione e ricatto» tesi a destabilizzare e spaventare le scelte dell’allora Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa, ma soprattutto per contrastare l’allora capo dello Ior, monsignor Marcinkus, interferendo sulla riforma del codice il diritto canonico, in quegli anni argomento di notoria rilevanza.

Il sequestro di Emanuela Orlandi non è l’unico caso del periodo storico; molti ricorderanno la storia di Mirella Gregori sparita circa un mese prima.

Le confessioni di questi giorni parlano anche di un altro obiettivo ben preciso: indurre Alì Agca a ritrattare le sue accuse di complicità ai bulgari nell’attentato al Papa del maggio 1981, in cambio di una grazia.

Si è parlato di un «rapimento simulato»: la «ragazza con la fascetta», prelevata con l’inganno grazie al coinvolgimento di alcune coetanee nel centro di Roma, sarebbe dovuta tornare presto a casa se lo scoppio del caso mediatico e l’appello del Papa dall’Angelus del 3 luglio 1983 non avessero fatto sfuggire la situazione di mano ai rapitori, producendo cosi conseguenze inaspettate e terribili, scheletro di uno dei più grandi misteri italiani degli ultimi 50 anni.

Nuove rivelazioni, vecchi protagonisti, parole inattese: è questo il momento di svolta in una storia tanto travagliata oppure siamo ancora dinanzi un inutile paravento?

di Alberto Bonomo