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(foto fonte web)
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L’Italia dei tagli decide di diminuire i fondi destinati all’antimafia. Forse la lotta alla criminalità organizzata non è più una priorità per i nostri governi: la Dia – Direzione Investigativa Antimafia – negli ultimi anni sta subendo delle forti privazioni, sia a livello di risorse, sia a livello numerico, le quali non le consentono la massima efficienza nella lotta alla malavita.

Mentre spuntano come funghi numerosi ‘locali’ nel nord Italia, cioè cosche di infiltrazione mafiosa che sorgono in regioni diverse da quella di origine, lo Stato ha deciso di inserire la Dia nel piano tagli previsto dalla legge di stabilità.

Le riduzioni sono previste nell’indennità di rischio degli agenti e nel pagamento degli straordinari, mentre il personale addetto è sceso dalle 3 mila unità a poco più di un migliaio. A denunciare i pesanti tagli è stato Coisp, coordinamento per l’indipendenza sindacale della polizia, il quale ha anche lanciato un appello al ministro dell’Interno Angelino Alfano, perché non venga tagliato un settore di vitale importanza per la giustizia italiana.

Secondo il Coisp, per esempio, la direzione antimafia potrebbe autofinanziarsi attraverso le risorse confiscate ai boss mafiosi. Un’ipotesi ragionevole, che si spera possa essere presa presto in considerazione.

Andando a scavare sulla questione, si scopre che questo del sindacato di polizia non è il primo scontro istituzionale sui tagli all’antimafia. Già tra il 2011 e il 2012, infatti, l’inserimento del corpo speciale nel pacchetto della legge di stabilità, aveva spaccato in due la politica nazionale: da una parte chi trovava inaudito togliere fondi a chi combatte la mafia, dall’altra chi pensava fosse giusto adeguare il lavoro della Dia a quello delle altre forze dell’ordine.

Così nell’ottobre del 2011, con l’ultimo governo Berlusconi ormai agli sgoccioli, l’esponente di Futuro e Libertà (il partito di Fini, Terzo Polo) Aldo Di Biagio, chiese un’interrogazione al ministero sull’argomento.

Nella sua lettera, si faceva un chiaro riferimento ai tagli già avvenuti nel settore dell’antimafia, evidenziando che il governo (Berlusconi) aveva inflitto pesanti tagli alla sicurezza, risparmiando sull’antimafia ben 13 milioni di euro in tre anni. Nell’interrogazione, Di Biagio fa riferimento anche alla chiusura di tre sedi della Dia a Lecce, Trapani e Trieste e alla possibilità che altre potessero essere rese non operative a breve.

Con il governo che sarebbe crollato un mese dopo, la patata bollente è passata all’esecutivo tecnico di Mario Monti e la risposta a Di Biagio è arrivata dal sottosegretario del ministero dell’Interno Carlo De Stefano. L’esponente dei tecnici, ha analizzato la situazione e le istanze proposte dal politico di Fli, dopodiché ha affermato che il governo non starebbe ridimensionando l’antimafia e, al contrario, la starebbe potenziando.

Il tutto senza esaminare le cifre poste in rilievo da Di Biagio e senza spiegare in che modo starebbe avvenendo il presunto potenziamento. L’abbassamento degli stipendi, secondo l’ormai ex sottosegretario, sarebbe un adeguamento alle buste paga di poliziotti, carabinieri, guardie di finanza e guardie forestali: tutti corpi fondamentali e complementari per l’arresto dei mafiosi.

Dopo la lavata di mani, il problema è tornato d’attualità nell’ultima settimana, con la denuncia del Coisp a seguito degli ulteriori tagli previsti per il settore.

Un Coisp che in questo periodo è molto impegnato nel processo alla trattativa Stato-mafia – come si evince dal sito ufficiale del sindacato – e che negli ultimi mesi non si è risparmiato in esibizioni di dubbia moralità, come la manifestazione organizzata contro l’arresto dei poliziotti che hanno ucciso Aldrovandi in carcere. Una manifestazione svoltasi il 27 marzo a Ferrara, proprio sotto l’edificio dove lavora la madre del ragazzo colpito a morte da quattro agenti.

Per questa nuova battaglia, contro i tagli all’antimafia, il sindacato delle forze di polizia si è rivolto anche alla trasmissione televisiva Striscia la notizia. Chissà che le lamentele non vengano recepite da una porzione più vasta di pubblico e che di conseguenza non siano prese più seriamente in considerazione dai politici.

di Luca Romeo