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(foto fonte web)
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New York, anni ’70: uscito di galera grazie al suo avvocato, il portoricano Carlito Brigante, ex boss della droga, decide di chiudere con la malavita. Ma la malavita, a quanto pare, non ha chiuso con lui.

Il “De Palma’s way” sul genere gangsteristico, uno dei più fascinosi e attraenti della storia moderna del cinema, quello che il western è stato per l’età classica. Ma attenzione, non è “Scarface” dieci anni dopo, perché c’è un abisso tra la squilibrata megalomania sparattutto di Tony Montana e lo sguardo dolorosamente consapevole di Carlito, il personaggio più simpatico (nel senso etimologico del termine) di tutto De Palma e di molto cinema americano contemporaneo.

Al Pacino è strepitoso as usual, ma c’è di più: una sceneggiatura – era ora! – all’altezza, capace di soddisfare e canalizzare gli eccessi di De Palma (così debordanti in “Scarface”) e consegnargli delle ultime pagine da cui lui saprà poi trarre una mezz’ora finale straordinaria, in cui riesce finalmente ad arricchire di senso e morale uno stile senz’eguali (vertiginosi piani-sequenza nel locale, nel metrò, nella solita stazione).

Le poche battute a vuoto sono concentrate nell’eccessiva idealizzazione di Carlito e nel tratteggio appena accennato del personaggio di Gail, con la quale il regista riesce comunque a realizzare una delle poche scene d’amore riuscitegli in carriera. Nell’anno di “Schindler’s List” De Palma, mai benvoluto dall’Academy, ricevette lo schiaffo più bruciante: la miseria di zero nominations agli Oscar. La meritava almeno Sean Penn, la cui faccia – per la prima volta nella sua carriera – ebbe finalmente uno scopo. Al Pacino fu magistralmente doppiato da Giancarlo Giannini.

Brian De Palma, 1993

Recensione di Giuseppe Pastore
http://cinema-scope.org/2007/05/27/carlitos-way-brian-de-palma-1993/