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Dalla Francia la “soluzione” al tema urgente delle ultime settimane, ovvero: può uno psichiatra prevedere con certezza le azioni di un paziente?

Se un paziente psichiatrico, considerato ormai “guarito”, scappa dall’ ospedale in cui era ricoverato, torna a casa e uccide un suo familiare, chi dovrà pagare per questo?

In uno di questi casi i giudici francesi hanno decretato che a pagare fosse la psichiatra che lo aveva in cura.

Un lungo processo e una sentenza che divide

È stato un processo lungo che si è svolto  sotto i riflettori e che ha spaccato animi e coscienze, da una parte i medici, dall’ altro le associazioni dei parenti delle vittime, e concluso con una sentenza di condanna, la prima in Francia, nei confronti di una psichiatra.

L’assassino, Joel Gaillard, ricoverato in ospedale ma non sottoposto ad alcuna restrizione, nel 2004 fuggì dal reparto per andare ad uccidere l’ anziano compagno della nonna, convinto che questo volesse impadronirsi dell’ eredità familiare. È stato uno dei figli della vittima a denunciare la psichiatra che lo aveva in cura, la dottoressa Daniéle Canarelli, dopo che Joel Gaillard era stato ritenuto incapace di intendere e volere e dunque non responsabile penalmente.

Daniéle Canarelli, la psichiatra di Marsiglia che non aveva mai accettato di far “internare” il suo paziente in un cosiddetto reparto protetto, giudicandolo ormai non più pericoloso, è stata condannata per omicidio colposo ad un anno di reclusione «per aver sottovalutato la pericolosità di un suo paziente schizofrenico».

Una condanna giusta per un conclamato errore medico?

Forse no. Curare e lavorare con i fantasmi di una mente malata lascia sempre dei margini di insicurezza, e inoltre per chi svolge questo tipo di professione, nel caso specifico quella di psichiatra, è necessario provare e credere nel reinserimento sociale degli esseri umani che si hanno in cura.

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Uno dei più famosi psichiatri italiani, Giovan Battista Cassano si è esposto sulla questione affermando: «Predire la pericolosità sociale di un soggetto con una patologia mentale, anche dopo anni di terapia, è quasi impossibile. C’è sempre una parte non governabile nella malattia mentale, ma anche, aggiungo, in soggetti che sembrano perfettamente sani».

La priorità della cura e il rischio della libertà      

Prioritario per gli operatori della salute mentale è il diritto alla cura e soprattutto alla libertà di cura per tutti gli esseri umani che soffrono di patologia psichica. È vero anche che spesso chi per professione cura la malattia mentale è spesso esposto al rischio di commettere un errore e dunque al rischio di esporre la persona e la società a un pericolo.

Un giudice di sorveglianza di Roma racconta: «Sulle nostre spalle grava una responsabilità enorme, e facciamo il massimo perché quando viene decisa una misura di liberà il rischio sia minimo. Ma un margine di rischio c’è, inutile negarlo».

La cronaca ci ricorda che  sono diversi i casi di detenuti considerati non più pericolosi diventati assassini durante le loro ore “libere”.
Uno su tutti, Angelo Izzo, uno dei “mostri” del delitto del Circeo, venne considerato da giudici e psichiatri completamente “redento”. Ma sappiamo che lo stesso invece uscì, e assassinò una madre e una figlia. In quel caso, nessuno di quelli che concessero la semilibertà ha pagato per l’ errore.

Il falso mito dell’onnipotenza dello psichiatra

I medici psichiatri, le diagnosi e le loro esperte opinioni non bastano. Ci vogliono servizi, strutture, assistenza sociale, controlli. I permessi, la semilibertà, sono misure fondamentali, stanno lì a ricordarci che la società si occupa di tutti, anche di chi ha sbagliato e dell’essere umano che soffre per una malattia che ne governa l’animo e la coscienza. Ma queste misure, ahimè costano, e soprattutto sono insufficienti.

Uno psichiatra non può controllare tutto, è non è nemmeno giusto che lo stesso venga poi considerato responsabile per i gesti commessi da un suo paziente.

C’è spesso una zona oscura che resta nascosta anche allo psichiatra più attento, al perito più esperto. Una parte che poi affiora e può portare alla tragedia.

di Francesca De Rinaldis