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Quanto possono valere vent’anni della vita di un uomo? Della vita di un uomo innocente? Di un uomo innocente passati in prigione? Passati in prigione ingiustamente? Ingiustamente perché, dopo ventidue anni in carcere, si scopre che è innocente? Innocente, sebbene avesse confessato.

Adesso proviamo a chiederci se è possibile rispondere a queste domande senza provare vergogna, rabbia, anche disprezzo. Si, perché si vorrebbe che la Giustizia fosse qualcosa di più elevato, più grande, più  giusto.

La storia

La storia inizia nell’ormai lontano 27 gennaio 1976 ad Alcamo Marina, in provincia di Trapani, dove viene attaccata la locale stazione dei Carabinieri. Abbattuta la porta con al fiamma ossidrica, vengono freddati  nelle loro brande due giovani Carabinieri. Le indagini sono difficili. Appare subito strano il sonno delle due vittime. Vennero seguite due piste: quella mafiosa, poiché solo l’anno prima erano stati uccisi l’assessore ai lavori pubblici di Alcamo, Francesco Paolo Guarrasi, e il consigliere comunale Antonio Piscitello, nonchè quella dell’attacco terroristico, in seguito ad un comunicato di rivendicazione, subito dopo smentito dalle Brigate Rosse.

Sul caso lavora anche una squadra investigativa dei Carabinieri, al comando di Giuseppe Russo, ucciso un anno più tardi dalla mafia. E i risultati iniziano ad arrivare: Giuseppe Vesco, un carrozziere della zona, senza una mano, viene trovato in possesso di armi e oggetti che sembrerebbero provenire dalla Stazione di Alcamo.

Gli uomini della squadra non si fanno scrupoli nell’usare con lui maniere parecchio forti, così escono dei nomi di giovanotti di Alcamo tra cui Giuseppe Gulotta, manovale diciottenne che aspirava ad entrare in Finanza, infatti aveva appena fatto il concorso.

Renato Olino, uno dei membri della squadra, non è convinto, vuole prima attendere i risultati della Scientifica, ma i colleghi incalzano. I ragazzi vengono portati in Caserma.

E Gulotta è poco più che un adolescente. Viene interrogato per diverse ore, senza la presenza di un avvocato e di cui non viene redatto alcun verbale. «Vi dico tutto quello che volete, basta che la smettete». E confessa ciò che non ha fatto, pur di far smettere le botte.

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I colpevoli

Quindi viene trasferito al carcere di Trapani e davanti ai magistrati prova a professare la propria innocenza: «Se ho fatto quelle dichiarazioni è perché sono stato picchiato tutta la notte». Ma gli viene risposto: «È impossibile che per le botte si confessi un omicidio». Le contusioni, che pure emergono dalla visita medica, per i carabinieri sono solo frutto di una caduta.

A complicare ulteriormente la vicenda, lo strano, quanto provvidenziale, suicidio in carcere dell’accusatore Giuseppe Vesco.

Si susseguiranno i processi, i diversi gradi di giudizio: il primo grado della corte di Assise di Trapani lo assolve per insufficienza di prove. Nel 1982 invece la Corte d’Appello di Palermo  ribalta la sentenza e Gulotta viene condannato all’ergastolo. Il 19 settembre 1990 la sentenza diventa esecutiva, inizia il calvario della prigione, con il marchio dell’assassino, per 22 lunghissimi anni. La libertà, se così la può chiamare, giunge nel 2010 sotto forma di 2010 libertà vigilata.

La salvezza

La salvezza arriva proprio da quell’ ex brigadiere Renato Olino, che sin da subito non era convinto, e dalla trasmissione “Rai Blu notte – Misteri italiani” che si occupa della storia. Così la magistratura di Trapani apre un’inchiesta e si apre il processo di revisione che porta il 26 gennaio 2012 il procuratore generale della Corte d’Appello di Reggio Calabria a chiedere il proscioglimento di Giuseppe Gulotta da ogni accusa; questo verrà ottenuto in via definitiva il 13 febbraio 2012. La sua storia è ora raccontata nel suo libro Alkmar. La mia vita in carcere da innocente, scritto con Nicola Biondo, dove Alkmar era il nome della caserma dove avvennero i fatti.

Risposte

E ritorniamo ai nostri interrogativi iniziali. Gulotta ha chiesto allo Stato un risarcimento di 69 milioni di euro, ma come si può quantificare una vita rovinata, un figlio cresciuto col pensiero di un padre in prigione, bollato come assassino, due vittime che ancora attendono giustizia? Come si possono giustificare indagini svolte male, malissimo, frettolosamente e con metodi discutibili? Che risposte si possono dare, ammesso che ve ne siano?

di Paola Pagliari