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Una donna ruba 40 mila dollari per scappare col suo amante in Texas; lungo la strada, si ferma per passare la notte in un motel sperduto sull’autostrada.

Concepito alla fine degli anni ’50 da un romanzo horror di Robert Bloch senza troppe pretese, “Psyco” riuscì in 100 minuti a sconvolgere ogni canone precostituito dei film “di spavento”, influenzando indelebilmente non soltanto il genere “thriller-horror” ma l’intera storia della cinematografia, e spostando enormemente in avanti la misura di ciò che era lecito e ciò che non lo era, fino a prendersi libertà inconcepibili per l’epoca in materia di sceneggiatura e messa in scena; e finì pertanto con l’influenzare il costume stesso del popolo americano, sottoposto per la prima volta a una quantità tale di shock e forti emozioni da risultare benefica, e alla fine liberatoria.

Il modo in cui Alfred Hitchcock, Joseph Stefano, John L. Russell, B(ernard Herrmann e tutti gli altri collaboratori fecero questo è raffinatissimo. Non ci sono becere carneficine o interminabili bagni di sangue, come purtroppo avviene troppo spesso negli “horror vacui” degli ultimi vent’anni; muoiono soltanto due persone, per almeno metà film sembra di stare assistendo a tutt’altra storia. Improvvisi cambi di direzione, colpi di scena studiatissimi, una crescente sensazione di angoscia che si impadronisce dello spettatore e rimane anche dopo i titoli di coda.

Una strategia della suspense e del terrore studiata nei minimi dettagli, dalla fase di pre-produzione alla geniale campagna pubblicitaria, ancora oggi meritevole di essere presa ad esempio come modello di marketing. Un film che, nonostante l’immane valore socio-culturale, costò pochissimo: d’altra parte Hitchcock l’aveva già in mente fotogramma per fotogramma all’inizio delle riprese, grazie a quella cura del particolare e a quella curiosità quasi famelica per ogni aspetto del suo lavoro che non ha avuto eguali negli ultimi cinquant’anni.

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La rivoluzione sta proprio qui: Psyco è uno dei pochissimi film di tutti i tempi, tra quelli che l’avevano preceduto e quelli che lo seguiranno, a non aver voluto manifestamente trasmettere alcun messaggio; persino un horror apparentemente di consumo come “La notte dei morti viventi” – peraltro profondamente influenzato da Psyco – conteneva rimandi sociali e politici alla realtà americana degli anni ’60.

In un certo senso, la filosofia che sta dietro ad un film come Psyco è affine alla genesi di un altro celebre “film-sfida” di Hitchcock, il famoso Nodo alla gola (1948) che rappresentò, per il regista, soprattutto una prova d’abilità nel riuscire a rispettare alla lettera le tre unità aristoteliche di luogo, tempo ed azione. Ma Psyco è superiore: mai esercizio di stile, ben lungi dall’essere un raffinato divertissement per soli cinefili, è invece puro artigianato popolare: concilia la chiarezza espositiva del miglior cinema classico con una rappresentazione sconvolgente ai limiti del sovversivo, che sconvolse e diventò mito.

Psyco è il trionfo del cinema, la consacrazione della settima arte a strumento capace di generare emozioni tout court, senza per forza ricorrere a una bella storia, o a dei grandi attori, o a un messaggio forte. “Esempio, magari detestabile, di arte per l’arte, di cinema puro”. “Psyco” è stato deliberatamente pensato e realizzato per confondere gli spettatori, per ingannarli, catturarli e infine terrorizzarli.

Incoronato da generazioni di critici e spettatori, è l’unico film della storia che ha avuto l’onore e il privilegio di un remake “clone” come quello realizzato da Gus van Sant nel 1999. E’ stato omaggiato decine di volte da altri registi, musicisti, disegnatori, cartoni animati; è bastato da solo per far entrare nella leggenda i suoi due attori principali, che non riuscirono mai più a togliersi di dosso i rispettivi ruoli. Ha cambiato per sempre il modo stesso di guardare un film: dall’inizio alla fine, senza eccezioni.

Alfred Hitchcock, 1960

Recensione di Giuseppe Pastore

http://cinema-scope.org/2007/06/