(foto fonte web)

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Ho vissuto fino a diciotto anni con l’idea delle atroci assurdità del nazismo. Attraverso il libro di Anna Frank, le poesie di Primo Levi e il capolavoro cinematografico di Benigni («La vita è bella») e mi sentivo partecipe di un dolore che, seppur lontano nel tempo da me, mi travolgeva e mi straziava.

L’ idea che avevo di ciò che ho sempre definito come “l’eclissi dell’umanità” è diventata qualcosa di più, molto di più nel momento in cui ho scelto di recarmi presso i principali campi di concentramento nazisti. Se è vero che un viaggio ha la capacità di cambiarti, sono trascorsi tre anni e il mio modo di pensare all’olocausto da quel momento non è più come prima.

Nel “Giorno della memoria”ricordo tutto quello che i miei occhi hanno fotografato. La sensazione di “perdersi” una volta entrate nelle vecchie camere a gas, lo sconforto che ti assale nel momento in cui pensi che un forno crematorio abbia ridotto in cenere milioni di persone e le frasi scolpite sui muri, che improvvisamente è come se ti parlassero. Tutto questo resterà dentro di me indelebile, come l’immagine di una pellicola che purtroppo non è un film.

di Roberta Della Torre