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Quella di San Valentino è una delle feste più diffuse, fonte di forti introiti per commercianti di ogni tipo. Legata da più di un secolo agli innamorati, c’è stato un anno in cui questa festa è stata associata non all’amore ma con uno dei più famosi fatti di cronaca nera della storia americana, all’inizio di un periodo tra i più cupi per gli United States of America.

Trattasi della famosa Strage di San Valentino del 1929, l’anno del crollo di Wall Street, una delle più gravi crisi economiche mondiali che la storia ricordi. La vicenda è strettamente legata al fenomeno del proibizionismo e ad una delle figure storiche della mafia italo-americana: Al Capone, al secolo Alphonse Gabriel Capone.

Nato nel 1899 a Brooklyn, figlio di immigrati italiani campani – di Castellammare di Stabia e Angri, per la precisione -, il futuro leader della storica banda di gangsters di Chigago entrò a far parte del mondo della malavita sin da giovane, nella storica gang dei Five Points dopo essere stato espulso dalla scuola a soli quattordici anni per aver colpito al viso una insegnante.

Seppur dimostrando capacità particolari, il giovane infatti poco apprezzava le strette regole della scuola parrocchiale alla quale era iscritto. Dopo essersi sposato a soli diciannove anni, l’opportunità per la sua scalata al potere avvenne nel 1923, grazie all’introduzione del proibizionismo e alla conseguente creazione del mercato nero dell’alcool (essendone “proibita”, appunto, la produzione, la vendita e il trasporto di qualunque tipo di sostanza alcoolica.

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Preso nell’organizzazione di Johnny Torrio, Al Capone prese il comando della banda nel 1925, quando Torrio venne ferito gravemente in un agguato e decise di tornare in Italia e lasciare l’organizzazione al nativo di Brooklyn. Questo permise ad Al Capone di gestire personalmente le proprie operazioni aumentando a dismisura il potere e l’influenza. Tutto ciò gli permise di esercitare anche un certo controllo sulla polizia e sulla sfera politica della Chigago dell’epoca, rendendolo terribilmente famoso al punto da farlo diventare una specie di beniamino nonostante fosse un malvivente.

Il suo successo fra la popolazione proveniva dalle proprie attività di contrabbando, in un certo senso in contrasto con una delle leggi più discusse della storia degli Stati Uniti. Il proibizionismo trovò poi la sua fine nel 1933 e come la storia insegna (a tal proposito si consiglia la visione del film “Untouchables”) anche l’impero del gangster italo-americano capitolò. Proprio la Strage di San Valentino contribuisce a dare la svolta finale.

Come precedentemente sottolineato, le attività di Al Capone gli avevano dato una forte immagine pubblica, la quale gli garantiva un livello alto di accettazione ed apprezzamento da parte della popolazione, permettendogli di mantenere alleanza politiche alla luce del sole. Tutto questo cambiò il 14 febbraio del 1929, quando cinque membri della banda irlandese del North Side, più due loro collaborazionisti, vennero giustiziati in un garage del quartiere di Lincoln Park.

Le guerre tra bande non erano certe nuove a cose di questo genere ma per la prima volta nella guerra per il controllo di Chigago, anche se solo dopo mesi d’investigazione, accadde che gli inquirenti riuscirono a collegare il nome di Al Capone all’evento. Questo rovinò la sua immagine pubblica, sottraendogli pian piano quella sua immunità e fino a portare al suo arresto nel 1931. Trascorsi otto anni in reclusione – tra cui un periodo trascorso nella allora nuova prigione federale di Alcatraz -, morì nel 1947, debilitato fisicamente e mentalmente da una forma acuta di neuro-sifilide, stroncato infine da un infarto.

Pochi si sono soffermati a chiedersi se il boss di Chicago fosse stato o meno un romantico, ma è possibile affermare che dopo il 1929 Al Capone entrò a far parte di quel gruppo di persone a cui San Valentino è irrimediabilmente ed inesorabilmente un pezzo di storia.

di Simone Simeone