(foto fonte web)
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Dopo 25 anni «impossibile dire tutto». Un video del ’93, rivelazioni e contraddizioni di Renato Curcio al processo sulla morte del giornalista Mauro Rostagno.

Venticinque anni fa, il 26 settembre 1988, moriva Mauro Rostagno. Nato a Trento il 6 marzo 1942, Rostagno è un personaggio controverso e discusso per la sua appartenenza a Lotta Continua, giornalista fondatore del centro culturale Macondo (a Milano).

Proprio a Trento, durante gli anni dell’Università, sarà lui, assieme a Renato Curcio, Mara Cagol e altri il protagonista di una stagione politica che ha lasciato ancora oggi ferite aperte, talvolta tinte di giallo. Come la storia di Rostagno, assassinato in un agguato in provincia di Trapani (Valderice) mentre si trova nella propria auto, una Fiat Duna.

La pista mafiosa

Il primo mistero del delitto ha a che fare con l’arma che gli dà la morte, un fucile a pompa. Secondo le indagini balistiche più recenti, l’arma sarebbe la stessa utilizzata nel 1995 per l’attentato al poliziotto Giuseppe Montalto. Una pista mafiosa, quindi, avvalorata dalle dichiarazioni dei vari pentiti succedutisi nelle udienze sul caso.

Eppure, anche quest’ultimo punto è stato messo in discussione a novembre scorso, dopo le parole di un personaggio eccellente come Renato Curcio. Lui ricorda bene Mauro, gli anni di Lotta Continua, le contestazioni iniziate nel ’68 e proseguite negli anni successivi. Secondo lui le cose sono andate in tutt’altro modo.

«Ragione inconfessabile»

Nel ’93 è Curcio ad “ammettere”, quasi in lascrime: «In tanti cercheranno di dire che è morto perché la mafia lo ha ucciso, perché qualche spacciatore lo ha ucciso, perché qualche amante deluso lo ha ucciso.
Ma niente di tutto ciò ci racconterà la storia di Mauro perché Mauro non è morto per nessuna di queste ragioni. E la ragione per cui è morto resterà inconfessabile, impossibile da raccontare».

Il video nel quale si vede Curcio proferire queste parole è ormai vecchio di vent’anni. Ma nel nuovo processo sulla morte di Rostagno, apertosi nel febbraio del 2011, nessuna di quelle parole trova seguito.

Ritratto tutto

«Quanto dissi nel ’93 fu il risultato di una crisi emotiva – ha affermato un anno fa lo stesso Curcio, solo un pò invecchiato -. Quella morte fu provocata da una causa imprevedibile».

Sbalorditi gli avvocati, i giornalisti e i presenti all’udienza, la risposta alle smentite di Curcio si è tramutata in un’intervista concessa da quest’ultimo a Gianni Lo Scalzo, suo amico di lunga data e antropologo. Nella stessa, Curcio parla di poteri forti e complicità dietro la morte di Rostagno. Ma quali siano state le complicità non è dato saperlo.

Quale verità?

La “testimonianza” di Curcio non aggiunge nulla agli enigmi irrisolti sulla morte di Rostagno. Negli anni successivi al delitto sono state molte le piste ipotizzate. C’è chi ha parlato di delitto politico perché il fondatore di Macondo avrebbe scoperto traffici illegali di armi con la Somalia, oppure perché accortosi dello smercio di stupefacenti all’interno di alcune comunità; e così via per altre piste dove, come spesso accade, sono stati tirati in ballo la Gladio, Gelli e i Servizi segreti.

Ad oggi sulla morte di Rostagno resta solo la perizia balistica che conduce con alta probabilità alla pista mafiosa. Uno sgarro o un’indagine di troppo, quindi, non ultimo martire di una lunga scia di sangue in Sicilia.

di Pasquale Ragone