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Settembre 1970, un attentato all’ambasciata americana in Grecia segna l’inizio di una storia che otto anni dopo rappresenterà per l’Italia uno dei suoi passaggi più drammatici. Le vicende che riguardano le Brigate Rosse son ancora oggi circondate da una spessa coltre di mistero ma oggi alcuni fatti affiorano alla memoria. Ad Atene, nel settembre di trentuno anni fa muoiono due giovani: Maria Angeloni e Giorgio Tsekouris, rispettivamente di trentuno e venticinque anni.

I due nomi non sono casuali. Entrambi appartengono al cosiddetto “Superclan”, movimento guidato da Corrado Simioni, noto per essere il coordinatore di azioni terroristiche di portata internazionale.

Angeloni e Tsekouris sono ricordati negli ambienti attivisti della sinistra giovanile come due compagni deceduti durante quel che viene da essi definita come “un’azione”. In realtà tale azione ha connotati ben precisi e si identifica oggi sotto la categoria di “terrorismo internazionale”. I due giovani erano intenti a dare vita a un attentato destinato a scuotere la capitale greca, lì dove si trovava l’ambasciata americana.

Qualcosa sfugge però ai due: dopo aver più volte percorso la strada che circonda l’ambasciata restano per diversi minuti nell’auto ma, prima che essi escano, un’esplosione svela l’intento del Superclan di creare morte e panico in Grecia. Eppure, quel mancato attentato riveste dopo tanti anni un’importanza enorme nell’economia della storia delle Brigate Rosse.

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Siamo agli albori della nascita del gruppo che avrebbe assassinato Aldo Moro nel 1978. Il tentativo di Simioni di coinvolgere un’ampia ala di attivisti di sinistra non trova seguito.

Il progetto è quello di dar vita a più attentati su scala internazionale. Nonostante la notorietà acquisita grazie a suoi studi sulla figura di Luigi Pirandello, Corrado Simioni non gode certo di buona fama. Nella seconda metà degli anni ’60 lo troviamo fra le fila del partito socialista di un Bettino Craxi agli esordi nella guida del movimento giovanile. Proprio tale movimento decreta la prima sentenza nei confronti di Simioni: espulso per indegnità morale.

Il 1969 vede i primi passi un timido Collettivo Politico Metropolitano messo in piedi con l’ausilio di Renato Curcio, altro nome che qualche anno dopo finirà alle cronache per avere avuto un ruolo importante nella genesi delle Brigate Rosse.

Gli intenti guerrafondai di Simioni non vengono ben visti da una base non ancora in grado di accettare attentati e spargimenti di sangue nel nome di un’ideologia. L’attentato in Grecia segna tuttavia la fine di qualsiasi rapporto del Superclan con quell’ala che sta progettando la nascita delle Br.

Quello di Simioni è quindi un isolamento forzato, abbandonato nei suoi propositi stragisti di portata internazionale. Sta di fatto che qualche anno più tardi anche le Br con a capo Mario Moretti compiranno gesti deprecabili e soprattutto deprecati da quella base che solo pochi anni prima aveva ritenuto fuori luogo il discorso di Simioni.

Comincia così, con gli anni ’70, una nuova stagione che oggi si tinge di giallo nei suoi tratti più essenziali. La storia delle Brigate Rosse è forse tutta da scrivere, così come ci sarebbe da scrivere su Mario Moretti e sui suoi legami più profondi con ambienti “ambigui” che nel tempo hanno dato adito a ipotesi a metà strada fra complotti e storie di spie.

Quel settembre del 1970 decide così, fra azioni dimostrative e propositi concreti, la genesi delle Brigate Rosse, una storia sconosciuta ai più.

Qualcuno oggi ricorda Angeloni e Tsekouris, figli di una storia dimenticata. Forse qualcuno li ricorda perché vorrebbero ritornasse quell’ala oltranzista e attivista a sinistra; qualcuno perché in Carlo Giuliani, nipote della Angeloni, ha rivisto dieci anni fa proprio la donna morta a soli trentuno anni. E proprio trentuno anni sono passati da un giorno di settembre, genesi di una storia sbagliata.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 12.9.2011)