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In Italia le inchieste si fanno sempre più tardi rispetto a quando avvengono i fatti. Più che di un’opinione di tratta di dati oggettivi. Per imboccare la pista palestinese in merito alla Stazione di Bologna ci sono voluti esattamente trent’anni; e calendario alla mano, dalle rivelazioni sulla morte di Pasolini fino a Ustica, il tempo sembra un dettaglio per la “nuova” generazione di inquirenti.

Il caso Impastato pare destinato alla stessa sorte. Peppino Impastato è per i più giovani il protagonista del film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, la storia di chi voleva denunciare boss mafiosi che si trovavano a soli cento passi, appunto, dalla propria casa.

Chi invece era presente la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 sa bene che quella storia trascina con sé non solo il doveroso senso di eroismo che si respira leggendo le vicende di Peppino Impastato, giornalista trentenne di “Radio Aut” impegnato contro Cosa Nostra e ucciso al passaggio a livello di Cinisi, bensì anche il triste odore di una tragedia che a livello giudiziario è ancora ferma a quella notte.

In realtà qualche passo in avanti c’è stato rispetto al 1978. In un primo momento si era parlato di suicidio. Impastato si sarebbe steso sui binari del treno in arrivo al passaggio a livello di Cinisi, in provincia di Palermo, lasciandosi massacrare dai convogli.

Almeno la bizzarra e indimostrabile tesi è oggi svanita dal fascicolo ufficiale sulla morte del giovane. Eppure esistono ancora molte ombre. Ad esempio non è mai stata rinvenuta la casellante presente proprio al passaggio a livello di Cinisi.

Che fine ha fatto un teste che poteva risultare decisivo sin dalle prime ore? Innanzitutto è bene precisare che il nome della donna non è il classico “Maria Rossi” della situazione: si chiama Provvidenza Vitale, nome evidentemente non difficile da trovare.

Tuttavia le prime ricerche avevano dato esito negativo: la donna era fuggita all’estero. Tutto vero? No, tutto falso. Nessuno l’ha mai realmente cercata e la signora Provvidenza non si è mai mossa dal piccolo paese di Terrasini. E c’è di più.

A dispetto di chi la voleva fuggitiva in preda a chissà quali paure, in tutti questi anni ha cresciuto ben sei figli giungendo oggi alla veneranda età di ottantotto anni. Ma allora chi hanno cercato i Carabinieri all’indomani della morte di Impastato? Per ora non è dato saperlo. Ironia della sorte però la donna aveva come genero (uno dei tanti) un carabiniere.

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E davvero diventa fattibile credere che l’Arma avesse avuto problemi a trovarla? Senza volere troppo girare intorno al nocciolo della questione, la morte di Peppino Impastato è stata negli anni motivo di imbarazzo per una terra già dilaniata da tanti omicidi eseguiti da Cosa Nostra.

E proprio da una delle tante vicende delittuose di quella terra emerge una vecchia storia che sta impegnando il corso delle nuove indagini. Secondo il fratello di Impastato, Giovanni, il giovane giornalista stava indagando negli ultimi tempi in merito a quella che è passata alla storia come “la strage della casermetta di Alcamo Marina” laddove nel 1976 morirono due carabinieri.

In carcere finirono quattro uomini dei quali si disse che tre erano stati obbligati a firmare la confessione a suon di botte, mentre uno di loro morì in circostanze poco chiare. Impastato avrebbe scoperto qualcosa di importante in merito a quella strage, e prova ne è la scomparsa da casa Impastato della cartellina attinente l’indagine. Iniziano così a diradarsi le ombre, spiegando in tal modo il depistaggio operato nel 1978 e di conseguenza il tentativo di nascondere il teste del passaggio a livello.

Ma non è ancora il momento di scrivere la parola “fine”: a volte la storia insegna che dove non arrivano gli uomini, ci pensa la Provvidenza.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 9.1.2012)