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(foto fonte web)
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Vent’anni dopo l’assassinio di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto del 1990, la verità inizia a schiudersi disegnando un quadro tanto complesso quanto inatteso, scagionando Raniero Brusco, ex fidanzato della vittima e per anni unico imputato dell’omicidio.

Quanto accaduto negli uffici della Procura della Repubblica di Roma potrebbe appartenere alle pagine della  sceneggiatura di un film: improvvisamente affiorano le carte di una vecchia inchiesta riguardante un giro di tangenti e traffico di armi nell’ambito degli appalti concessi in Africa a società italiane. L’inchiesta, relativa al 1996, riporta le dichiarazioni di Luciano Porcari, oggi pentito ma che negli anni passati si era distinto nel mondo della criminalità per aver agito da tramite fra la malavita e i servizi segreti.

“Cheque to cheque”, questo il nome dell’inchiesta del 1996, svelerebbe un particolare inquietante ma illuminante allo stesso tempo: Simonetta Cesaroni avrebbe svolto il ruolo di segretaria presso una società la cui sede era a Via Poma e quindi sarebbe entrata a conoscenza del giro di maxi-tangenti che solitamente impegnavano l’attività delle società dedite agli appalti concessi in Africa.

Quella di cui parla Porcari sarebbe stata una <società gemella> de La  Dolmen International s.r.l. di cui si sa poco, tranne dei fitti scambi economici con l’Africa e con altri Paesi i cui nomi sono rimasti perlopiù nell’ombra. Nelle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti nel 1996, Porcari aggiunge tuttavia un ulteriore tassello che dà la svolta alle indagini, ovvero la presenza dei servizi segreti nell’affaire degli appalti in Africa.

A permettere tali affermazioni sarebbe stata la conoscenza, da parte di Porcari stesso, di un colonnello dei servizi segreti presente in Africa in quanto responsabile di una società di import-export per cui lo stesso Porcari era chiamato a trafficare, vale a dire proprio La Dolmen. Il ruolo di quest’ultima, così come delle altre società come quella di Via Poma per cui avrebbe lavorato la Cesaroni, sarebbe stato di mascherare traffici illegali dietro la facciata di legalità che tali società mostravano impegnandosi negli appalti concessi dallo Stato. <La povera Simonetta Cesaroni> – secondo Porcari – <era la ragazza incaricata di stipulare i contratti per conto di queste società al di fuori del suo lavoro normale e quindi inevitabilmente era a conoscenza di queste operazioni>.

Tangenti e servizi segreti avrebbero quindi portato alla morte di Simonetta Cesaroni; potrebbe apparire una prospettiva utopica se non fosse che la vicenda di Via Poma ha trascinato con sé, negli anni, diverse morti sospette. E’ il caso del succitato colonnello dei servizi segreti, tale Mario Ferraro ma conosciuto nell’ambiente col suo nome di copertura Fabio Marcelli, ritrovato impiccato al portasciugamani del bagno appena cinque anni dopo la morte di Simonetta Cesaroni; così come la morte di Pietro Vanacore, il portiere dello stabile che sarebbe stato fra i primi a scoprire il corpo della ragazza uccisa, apparentemente morto anch’egli suicida. Ma a queste morti potrebbero essere aggiunte quelle di altre persone decedute nello stabile di Via Poma.

Nelle cronache ufficiali, infatti, in pochi hanno notato che sei anni prima della morte di Simonetta, nello stesso stabile, si era consumato un altro delitto tutt’ora insoluto, ovvero quello di Renata Moscatelli, cognata di un marchese e noto petroliere: anche in quel caso un omicidio e anche in quel caso un mistero irrisolto.

di Pasquale Ragone 

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 7.5.2012)