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(foto fonte web)
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…..“Questa di Marinella è la storia vera che scivolò nel fiume a primavera ma il vento che la vide così bella dal fiume la portò sopra a una stella…” 

Queste parole e queste rime fanno parte di uno dei più celebri componimenti del noto cantautore italiano Fabrizio De Andrè. Si canta la storia di Marinella, la giovane donna lasciata morire con i propri sogni lungo le rive di un fiume per mano di chi poco prima baciava la sua bocca. Una canzone indimenticabile, magistralmente interpretata da Mina Mazzini.

Spesso capita che opere come questa siano figlie, oltre che di un genio indiscutibile, anche di una sensibilità artistica che affonda le radici nella terra su cui camminiamo. Non a caso, fatti realmente accaduti si tramutano in linfa vitale per grandi scrittori, fotografi o pittori.

Forse non tutti sanno che la Marinella di Fabrizio de Andrè in realtà si chiama Maria Boccuzzi. Maria, in arte Mary Pirimpo, fu instancabile lavoratrice, ballerina di avanspettacolo e, infine, donna costretta a vendere il proprio corpo.

La notte del 28 gennaio 1953 conobbe la morte lungo le rive del fiume Olona, nei pressi di Milano. La sua fu una vita molto difficile e ricca di eventi da dimenticare. Maria nasce in Calabria, a Radenna, nel 1920, ma presto lascia la propria terra natia per sfuggire ad un destino già tristemente segnato da povertà e desolazione. Nella mente della giovane donna il trasferimento al Nord Italia rappresenta la speranza di una vita migliore, la possibilità di realizzare quei sogni che l’accompagnano sin da bambina. Nessuno, tantomeno lei, avrebbe mai immaginato che tutto, ben presto, sarebbe andato in frantumi lungo le sponde di quel fiume in una notte fredda e umida di gennaio.

La vita in breve.
A quattordici anni ottiene il primo lavoro presso un’industria milanese impegnata nella lavorazione del tabacco; questo potrebbe essere considerato come l’inizio dell’unico periodo per lei realmente sereno. Maria fatica molto ma lavora e guadagna; sul posto di lavoro conosce l’amore, si chiama Mario ed è un giovane studente universitario.

E’ una relazione difficile per i forti contrasti con la famiglia che non vede di buon occhio questa unione. L’unica soluzione appare fuggire. Di comune accordo lasciano il lavoro e si trasferiscono in periferia in una piccola mansarda/soffitta che diventerà il loro nido d’amore. I due sono molto giovani e come ogni passione adolescenziale anche questa andrà via via affievolendosi fino a scomparire.

Maria sarà abbandonata dopo poco più di un anno di convivenza. Da sola, in una città sconosciuta, senza un lavoro capirà che forse l’unico modo per sopravvivere sarà sfruttare l’avvenenza di quel corpo modellato ad arte. Maria diventa così Mary Pirimpo. Un nome d’arte che racchiude in poche lettere il desiderio di sfondare nel mondo dello spettacolo. Mary intraprenderà la strada della ballerina di varietà ma non andrà mai oltre l’avanspettacolo.

La solitudine spesso porta le persone a fare scelte discutibili, ad accompagnarsi a figure sbagliate, a perdersi. In questo periodo si avvicina a Luigi Citti e Carlo Soresi; il primo, frequentatore di locali notturni del centro, di cui divenne presto l’amante; il secondo, conosciuto negli ambienti milanesi con il soprannome di Carlone, di professione protettore.

Da qui in poi la vita di Mary sarà una caduta libera verso un triste destino. Il passaggio dall’avanspettacolo alla strada è breve. Una ragazza introversa che, in poche sporadiche occasioni, ha avuto modo di sfogare con alcune “colleghe di strada” tutto il dolore rappresentato dalle vessazioni e dalle umiliazioni subite costantemente.

I sogni custoditi sin dalla più tenera età ora lasciano spazio solo al desiderio di uscire da quell’incubo, aprire un negozietto e tornare dalla famiglia. Mary non aprirà mai quel negozietto. Mary non uscirà mai da quell’incubo; non tornerà mai dalla propria famiglia.

Sei colpi di pistola calibro 6,35 spazzeranno via per sempre ogni tentativo di reagire per l’ennesima volta ad un destino nero e insormontabile.
Il corpo della povera donna, trovato da alcuni ragazzini intenti a giocare a pallone lungo il fiume Olona, resterà per alcuni giorni sul tavolo dell’obitorio senza un nome, nella solitudine, un po’ com’era stato abituato in vita.

Nonostante il cadavere venga ritrovato alle ore 12.00 circa del 29 gennaio 1953, l’autopsia constaterà che la morte risale alla sera prima.
Per gli inquirenti il caso appare per ovvi motivi molto complesso. La vita sconsiderata della donna, le numerose e ambigue frequentazioni, la mancanza di prove o indizi importanti rende tutto indecifrabile. Unico elemento degno di nota è il ritrovamento sul luogo del delitto di un guanto da donna mai associato a nessuna pista concreta.

I sospettati
I primi ad essere sospettati sono proprio Luigi Citti e Carlo Soresi ma, nonostante numerosi interrogatori vecchio stampo, crudi e senza mezze misure, i due riescono a divincolarsi dalle pesanti accuse.

Il Citti, in principio accusato per alcune macchie di sangue presenti sul cappotto, riuscirà a discolparsi, provando che quelle macchie appartengono a lui e sono causate da alcune emorragie nasali di cui soffre. Il Soresi sarà invece incriminato a causa di una testimonianza fornita da un vigilante che descrive l’arrivo sul luogo del delitto di un’auto scura con a bordo un uomo e una donna, la quale tenta di divincolarsi da quest’ultimo proprio la sera dell’omicidio.

Il vigilante riuscì a sentire nitidamente le grida della sventurata. Il Soresi, pochi giorni prima del triste evento, aveva acquistato un’auto scura molto simile a quella oggetto della testimonianza ma, ben presto, tutto il castello accusatorio costruito su questo particolare cadrà. Il vigilante sarà pronto a giurare che l’auto in questione fosse dotata della guida a sinistra a differenza dell’auto del Soresi che, invece, aveva la guida a destra. Per questi motivi tutti i sospettati saranno rilasciati e il caso di Mary Pirimpo archiviato come l’ennesimo caso irrisolto.

Negli anni seguenti le forze di polizia italiane e straniere, come ad esempio l’Interpool, continueranno a cercare elementi per riaprire il caso ma, purtroppo, tutto sarà vano.

Ad oggi è ancora mistero sulla mano che esplose quei sei colpi di pistola che colpirono a morte la povera Maria Boccuzzi e i suoi sogni.

“…Questa è la tua canzone Marinella che sei volata in cielo su una stella e come tutte le più belle cose vivesti solo un    giorno , come le rose”

Continua a leggermi, consigliami e correggimi finchè scriverò lo farò anche per te.

A Natalia
 
di Alberto Bonomo