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Verità o illusione? I dati che emergono dalle indagini svolte da “Il Fatto Quotidiano” in merito alla morte dei giornalisti Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, avvenuta il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, trascinano con sé dubbi ma anche spunti molto interessanti. I fatti inerenti l’uccisione dei due inviati del Tg3 in Somalia sono piuttosto noti: mentre si trovavano a Mogadiscio, in un’auto accompagnati da un traduttore e dall’autista del mezzo, qualcuno rimasto ancora ignoto alla giustizia apre il fuoco su Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Per anni le commissioni create ad hoc per scoprire le ragioni e la mano che hanno causato il duplice omicidio sono fallite miseramente lasciando solo intendere che il caso resta aperto sebbene l’accusa sia ancora a carico di ignoti. In diciotto anni si sono susseguiti premi, ricordi e targhe dedicate alla giovane giornalista italiana. Eppure le indagini su quanto avvenuto il 20 marzo del 1994 restano ancora al palo.

A viaggiare controcorrente è ancora una volta la redazione de “Il Fatto Quotidiano” che per prima pubblica in questi giorni un documento importante, e destinato a far discutere, dal quale parte un’ipotesi interessante. Il nostro compito è di porre ai “raggi x” quanto pubblicato per comprendere dove effettivamente risieda la verità.

Secondo il celebre quotidiano, la morte di Alpi e Hrovatin sarebbe motivata dal pericolo che questi avrebbero rappresentato per alcuni reparti militari italiani intenti a compiere attività poco chiare sul territorio somalo. L’attentato sarebbe stato quindi deciso a seguito di una comunicazione interna fra apparati militari italiani, compresa Gladio.

Brevemente è possibile capire cosa ci sia di vero in quanto pubblicato dal suddetto quotidiano. Cominciamo dalla fonte: tutto nasce da un’informativa del Sios partita dal comando dei Carabinieri di La Spezia il 14 marzo. Il Sios era il servizio informativo interno alle forze armate. In quella comunicazione si ordinava a Jupiter “il rientro immediato nella base I Mog” mentre questi si trovava nella città somala di Bosaso, aggiungendo “ordinasi spostamento tattico Condor zona operativa Bravo possibile intervento”. La ragione dell’ordine era “causa presenze anomale”.

Chi era Jupiter e cosa c’entrava con la vicenda dei due giornalisti? Si giunge così al primo dato importante. A parlare di Jupiter sarebbe stato Gianni Di Malta, uno dei dirigenti che ancora oggi operano per Saman (progetto sanitario ideato per le popolazioni locali) il quale racconta che dietro lo pseudonimo si nascondeva Giuseppe Cammisa e che quest’ultimo aveva incontrato Ilaria Alpi a Bosaso proprio in quei giorni.

Cammisa diventa così nell’indagine una figura importantissima perché unico in grado di collegare gli apparati militari segreti con eventuali operazioni a Bosaso e quindi alla morte dei due giornalisti.

E’ dunque attendibile il racconto di Giuseppe Di Malta? Il quotidiano non fornisce alcun documento per confermare o meno la vera identità di Jupiter, non consegnando quindi al lettore alcun riscontro che lo pseudonimo nascondesse proprio Cammisa il quale, intervistato per l’occasione, ha negato ogni coinvolgimento.

A testimoniare contro Cammisa giunge però anche la testimonianza di Francesco Cardella, dirigente del progetto Saman. Il primo era infatti il suo braccio destro e, in un’intervista, Cardella aveva rivelato che Cammisa era stato inviato proprio a Bosaso per ragioni umanitarie (acquistare parte del materiale utile alla creazione della struttura sanitaria).

A questi si aggiungono due dati: il primo è che i due giornalisti fra il 14 e il 15 marzo si trovavano certamente nella città per un’intervista; il secondo è che un’informativa del Sisde specificava che Jupiter era “appartenente alla Gladio trapanese”.

I dati tirati in ballo danno l’impressione di un puzzle complesso. Tuttavia il filo che legherebbe tutti i pezzi finora riportati vuole Ilaria Alpi e Miran Hrovatin presenti a Bosaso il 14 marzo 1994. Lo stesso giorno parte un’informativa interna alle forze armate che segnala “presenze anomale” nella stessa città e ordina a Jupiter di tornare alla base (presumibilmente sita a Mogadiscio). Questi sono i dati certi che l’inchiesta del quotidiano fornisce. Su tutto il resto però sorgono dubbi.

Considerando che non vi è certezza documentata sull’identità di Jupiter, non si comprende perché la persona che in passato aveva parlato con Ilaria Alpi, forse comunicandole qualche informazione riservata sui traffici che lì avvenivano, dovesse essere anche la stessa destinataria dell’ordine diramato dal Sios.

In pratica, un uomo della leggendaria Gladio avrebbe parlato con Ilaria Alpi e allo stesso tempo sarebbe stato parte dell’operazione che era chiamato a nascondere il più possibile. Tanto più, se il Sisde monitorava gli spostamenti di Jupiter, avrebbe saputo del suo incontro con la giornalista e di fatto rendendolo inutilizzabile per l’operazione in programma. In virtù di ciò, forse l’uomo non ha mai incontrato Ilaria Alpi e forse a Bosaso i due finirono solo per un’intervista che poi effettivamente portarono a compimento.

La verità alternativa sarebbe invece che i due giornalisti, usando l’intervista come copertura, avessero incontrato Jupiter a Bosaso conoscendo così dettagli importanti su un traffico di scorie tossiche.

E’ ancora presto per la verità ma quantomeno si ricomincia a parlare di due omicidi che chiedono ancora giustizia.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 2-4-2012)