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(foto fonte web)
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Se per strada si chiedesse alla gente di associare un evento della propria vita a fatti noti, si noterebbe che i punti di riferimento degli italiani sono stragi, omicidi, rapimenti.

Sono passati ormai trentuno anni dalla bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 provocando la morte di ottantacinque persone e il ferimento di oltre duecento. La strage di Bologna porta con sé alcuni emblemi della nostra storia. L’orologio della stazione squarciato dall’esplosione e fermo alle ore 10.25 è il simbolo di una verità che ancora manca. Così come per tutte le grandi vicende italiane, c’è qualcuno che crede che agli italiani non si debbano spiegazioni; che ad essi nulla sia dovuto alla pari di un padre che nega la conoscenza ai propri figli.

Una volta l’ex senatore a vita Francesco Cossiga ebbe a dire che l’esplosione alla stazione di Bologna null’altro era che un incidente dovuto al trasporto di materiale esplosivo, su uno dei convogli, da parte dei palestinesi o non meglio precisati gruppi terroristici. A distanza di tanto tempo cosa pensare? Francesco Cossiga era all’epoca Ministro dell’Interno e certamente sarebbe stato al corrente di informazioni che alla massa, al popolo, non è dato sapere.

E la mania di tirar fuori dal cilindro lo scudo “incidente” è cosa assai nota fra gli addetti ai lavori. Se per un attimo si scannerizzano alcuni dei più importanti fatti italiani, si scopre che la signora verità si veste spesso di abiti la cui stoffa si chiama “distrazione”, “errore”, “superficialità”. C’è qualcuno, insomma, che vorrebbe farci credere che la strage di Ustica sia avvenuta per un errore del pilota dell’aereo o per un guasto; oppure farci credere che, sempre con la dovuta dose di casualità, la prigione di Moro non era stata trovata in quanto, alla richiesta di aprire la porta dell’appartamento interessato, nessuno rispose; o ancora chiederci di pensare, guardando indietro per un attimo, che il famigerato golpe Borghese nel 1969 non sia avvenuto perché in realtà si sarebbe trattato solo di fumo negli occhi, un mero atto dimostrativo.

Si potrebbe viaggiare a ritroso fra la storia recente d’Italia e scoprire queste piccole ma grandi meraviglie dell’agire politico. Fatto sta che a Bologna ogni anno i cittadini hanno l’ardire di credere che la casualità non appartiene al mondo delle stragi e che soprattutto risulta alquanto vergognoso che siamo ancora qui a vagare nelle nostre poche certezze e chiamati a ragionamenti che, in assenza di nuovi elementi, finiscono solo di far invecchiare la gente e farla morire senza avere mai conosciuto la verità sulla morte di un proprio parente, amico o anche solo di un cittadino italiano mai conosciuto. E’ un silenzio infinito quello che ha visto i primi trent’anni dalla strage di Bologna, fra governi di colore diverso che non hanno mai prestato fede alle tante promesse di verità e giustizia. E anche questo è un sintomo tutto italiano.

Quando si va dal medico e si scoprono gravi malattie, in alcuni casi si da un primo farmaco per preparare il sistema immunitario alle cure future, poi si aggiungono altri farmaci chiamati a combattere la malattia. Nel nostro caso, i dottori della politica si prodigano durante le campagne elettorali a elargire farmaci che risvegliano le aspettative della gente. Il farmaco più comune è “l’apertura degli archivi”, una specie di droga che si da agli italiani per spingerli a rivolgersi sempre allo stesso medico, alias spacciatore. Quando poi il dottore diventa primario e va al governo, quella è l’ora del secondo farmaco vale a dire l’amata “casualità”. Ed è così da trent’anni per Bologna e Ustica, più di trenta per Moro e per tutte quelle vicende ancora avvolte dal mistero.

La soluzione sarebbe rivolgersi a dottori di altri colori politici ma anche quelli si sono dimostrati nel tempo pronti a tutto tranne che a dire la verità proteggendo affari combattuti solo apparentemente ma nei quali anch’essi hanno allungato le mani. E allora la soluzione qual è? Per ora non può che essere un infinito silenzio.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 8.8.2011)