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(foto fonte web)
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Una storia lontana nel tempo torna dopo quasi settant’anni a far parlare di sé.

Si tratta degli orrori della Seconda Guerra Mondiale e nello specifico i fatti accaduti il 24 marzo 1944 in una delle cave di Roma, laddove 355 civili e militari italiani persero la vita nel cosiddetto “Eccidio delle Fosse Ardeatine”. La scoperta dei cadaveri (prima fucilati) ammassati in fondo alle cave rientra fra le pagine più orrende della recente storia nazionale.

La strage fu opera dei tedeschi che all’epoca ne occupavano il territorio compiendo rastrellamenti e violenze di ogni genere. Per quei crimini nel tempo sono stati arrestati e condannati al carcere alcuni dei principali responsabili: il comandante Herbert Kappler, il capitano Erich Priebke, il capo del controspionaggio nazista Karl Hass.

Oggi qualcuno aggiunge un pezzo importante di quella storia. Si tratta di uno storico tedesco, Felix Bohr e i suoi studi sull’argomento sono stati ripresi dal settimanale tedesco “Spiegel”. Dall’Archivio politico dell’Auswaertiges Amt (AA), vale a dire il Ministero degli Esteri tedesco, emerge che nel 1959 un ampio carteggio dimostra i rapporti diplomatici fra Roma e Berlino nell’intento di insabbiare le indagini sull’eccidio.

In Italia l’allora governo democristiano decide di avallare la richiesta tedesca. Le ragioni risiederebbero negli interessi all’epoca vigenti fra i due Paesi: l’alleanza all’interno della NATO, così come l’intento di voltare pagina rispetto a fatti di comune responsabilità nei confronti delle minoranze etniche e degli oppositori politici.

Addirittura si svela però che l’iniziativa sarebbe partita dal governo italiano in quanto formalmente non interessato a chiedere l’estradizione dei responsabili tedeschi. Il carteggio inviato dalla Procura militare di Roma dal colonnello Tringali non lascia scampo a equivoci: nessuna intenzione da parte dell’Italia a riaprire una ferita così importante, tantomeno in merito alle Fosse Ardeatine.

Accade così che i veri responsabili siano rimasti impuniti. Eppure non era difficile rintracciarli vista la mole di documentazione già esistente all’epoca e a disposizione anche delle autorità italiane. Quanto scoperto da Bohr si inscrive in quel contesto storico che ancora oggi fatica a emergere.

Tuttavia i documenti ritrovati richiamano alla memoria altre vicende, stavolta attinenti ai primi anni ’50 quando dal porto di Genova si permetteva ai criminali nazisti di partire alla volta del Sudamerica fornendo loro documenti falsi e coperture utili a permettere loro di lasciare l’Italia in incognito scampando al processo di Norimberga.

L’operazione è nota agli storici come “Operazione Odessa” o più comunemente definita “Ratline” (la tratta dei topi). Le ricerche storiche attinenti la suddetta operazione viaggiano ancora fra mille dubbi e contraddizioni. L’ipotesi che però lanciamo in queste pagine è quella di un possibile collegamento fra gli insabbiamenti in merito all’eccidio e proprio l’Operazione Odessa.

Le coperture della prima potrebbero rientrare fra accordi precedenti già sperimentati e consolidati dando seguito alla “Ratline”. Dunque coperture politiche decise anzitempo e progettate ad hoc, pezzi di un piano più ampio destinato a consolidare i rapporti fra Italia e Germania insabbiando di fatti i crimini di guerra commessi dagli uni e dagli altri.

E’ questa la ricostruzione che offriamo al lettore per rivisitare un’ampia e dolora pagina del nostro passato. Soltanto la storia sarà in grado di dirci se avremo avuto ragione.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 23.1.2012)