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“Modello Reggio”, quel viaggio nella Calabria che non vorresti

Chi è passato nelle ultime estati dalla provincia più settentrionale della Calabria, sa che cosa è stato il “Modello Reggio”: una città sempre in festa, uno spettacolo ogni sera sulla bellissima via Marina, tra concerti, dirette di radio nazionali, cabaret e perfino gare di body building. E per arrivare in centro, un tapis roulant in stile Barcellona, per evitare le fatiche di una salita.

Il sindaco padre del ‘modello’ Giuseppe Scopelliti (ora presidente della regione Calabria) giustificava le tante spese della sua città in nome della pubblicità all’immagine di una Reggio in dovere di attirare turisti con le sue bellezze, ma anche con la sua movida. Ma tra la brezza dello stretto che affaccia sulla vicina Messina, già da anni aleggia un dubbio: da dove arrivano i finanziamenti per permettere tutto questo?

Da qualche giorno, il dubbio ha dato ragione alle malelingue (o forse agli unici che hanno avuto il coraggio di parlare di un sistema che – a detta di molti – era noto tra i cittadini): Reggio Calabria è stata sciolta per contiguità con organizzazioni mafiose. Si tratta del primo capoluogo di provincia ammanettato dal governo.

Alcuni quotidiani nazionali, già hanno ribattezzato la città calabrese ‘Ndrangheta City, dopo la decisione del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri di provvedere allo scioglimento e di affidare l’amministrazione al prefetto di Crotone Vincenzo Panico.

Il gioco delle tre carte

Demetrio Arena, sindaco al momento del fattaccio, si difende sottolineando come la sua attività in Comune fosse cominciata solo da un anno e può immaginare anche un bambino che il sistema mafioso fosse necessariamente in piedi da più tempo. Si deve compiere un ulteriore balzo all’indietro, dunque, e arrivare proprio a Scopelliti, l’eroe berlusconiano del ‘Modello Reggio’, quello dei concerti e delle feste sulla via Marina, quello che l’apparire è meglio dell’essere.

Nel frattempo l’ex sindaco (dal 2002 al 2010) ha fatto strada, ha occupato la poltrona più alta della Regione e ha commentato i fatti di Reggio, impugnando la già sentita legge della pubblicità all’immagine della città.

“Esiste un sistema che vede in campo una cerchia ristretta di giornalisti che non hanno interesse per il bene della Calabria”. Come se il problema non fosse lo scioglimento per mafia, ma la cattiva reputazione che si farebbe la regione.

Eppure, chi ha visto Reggio negli ultimi dieci anni, non ha visto soltanto feste e movida. Ha visto un mare che i cittadini devono salvaguardare, perché (se curato) resta uno dei più belli d’Italia.

Ha visto una via Marina anche senza feste e senza spettacoli, ma che nella sua semplicità ti mostra l’eleganza di una città che offre piante tropicali da una parte e il meraviglioso panorama della Sicilia illuminata dall’altra. Ha visto le stupende vie del centro, crogiuolo di stili antichi, moderni e contemporanei.

Questa è la Reggio che migliora la propria immagine, al contrario di quella che offriva un nuovo sfavillante vestito ogni sera, per la paura di farsi vedere nuda. Questa è la Reggio che vogliamo, alla faccia di ‘Ndrangheta City.

di Luca Romeo