adriano

di Alberto Bonomo

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adriano
(foto fonte web)

Tante, tantissime carezze, ma anche qualche impietoso pugno

Un accenno a un pugno, un altro a una carezza. Si può riassumere così la reazione del pubblico dell’Arena di Verona accorso nelle serate di lunedì e martedì per assistere al ritorno live di Adriano Celentano.

Ma se i ventiquattromila baci regalati dalla folla sono logicamente lo specchio di un’estasi nei riguardi del molleggiato, che ha interrotto bruscamente un’astinenza dai concerti che durava da ben diciotto anni, fanno riflettere le note stonate (non musicalmente parlando) dello show.

Con ventiquattromila fischi…       

Adriano canta Il ragazzo della via Gluck e Svalutation e tutti in piedi ad applaudire; Adriano cerca di esprimere un’opinione riguardo politica, società o economia ed ecco che partono i fischi. Perché?

Le ragioni più logiche sono strettamente collegate all’ultima apparizione televisiva di Celentano al Festival di San Remo, quando i suoi ormai ribattezzati ‘sermoni’ sull’Italia e sugli italiani non furono graditi al pubblico annoiato, alla critica che lo attaccò con ferocia e ai cantanti in concorso.

Quella volta, forse il ‘bisbetico domato’ aveva un po’ esagerato, togliendo quasi un’ora alla competizione musicale e facendo passare, di fatto, in secondo piano i cantanti in gara.

Appunti legittimi ma esplicitati soprattutto da un italiano medio che si è nascosto dietro queste lamentele facili, senza andare a indagare sul che cosa Celentano abbia detto in questi cinquanta o cinquantacinque minuti; senza conoscere le straordinarie risorse e gli importanti temi trattati da Celentano, tra una pausa e l’altra.

E così, per partito preso, anche lunedì e martedì, mentre Adriano provava ad accennare un discorso extra-musicale, buona parte del pubblico l’ha coperto di fischi, senza nemmeno sapere di che cosa avrebbe parlato.

“Sono un cantautore, mica un juke-box!”

 A memoria, mi viene in mente un recente concerto di Francesco Guccini, uno degli ultimi del cantautore tosco-emiliano. Anche in quella occasione – come sempre capita al Maestro – Guccini ogni due o tre canzoni parlava con il pubblico, esprimeva opinioni sull’Italia e cercava, insomma, quel contatto diretto con gli spettatori che desiderava avere anche Celentano.

Nel bel mezzo di un ‘sermone’, da una tribuna laterale si alzò un urlo: “Canta!!”. La risposta di Guccini (con immediato boato del pubblico a seguito) fu di poche parole: “Sono un cantautore, mica un juke-box!”.

Mica un juke-box. Come a dire sono un essere umano, non un robot.

Perché noi amanti (chi più, chi meno) della musica italiana siamo bravi a lamentarci dei cantanti di oggi, soprattutto sul bersaglio facilissimo che rappresentano quelli usciti dai talent show, rimpiangendo i cari vecchi anni ’60 e ‘70, nella quale la musica era vera e le emozioni erano tangibili.

Guardiamo commossi al passato, scoprendo che non ha nulla a che fare con il vuoto che abita il presente.

Ascoltiamo di nascosto i cantautori, mentre le radio di oggi vengono invase da suoni, voci e cantanti finti. Insomma, andiamo a cercare l’essere umano, respingendo il robot.

E il contatto umano? “I want to know”!

E poi che cosa succede? Neanche il cantautore va più bene. Ora chiediamo a Guccini e Celentano di non fare discorsi durante i concerti e di omologarsi al ‘canta e basta’, di non cercare più quel contatto con il pubblico che fa avvicinare l’artista agli spettatori. Ora non ci piace più l’essere umano, meglio il juke-box.

Peccato che Celentano non abbia avuto (o non abbia voluto usare) una risposta per le rime, in stile Guccini, rivolta ai tanti che hanno strozzato con i fischi il suo discorso. Dopo tante carezze, ha preso in faccia un pugno che farà fatica a dimenticare.

Non ci si nasconda più dietro i cari vecchi anni ’60 e ‘70, lo si dica chiaramente che preferiamo i concerti in cui il cantante non deve interagire con il pubblico, ma soltanto soddisfare le richieste canore, tanto per rendere un servizio pagato.

Diciamolo che il contatto umano non interessa più e che le opinioni espresse in pubblico non suscitano interesse (che uno sia d’accordo o no) ma solo noia. Lo si dica che non vogliamo cantautori. Vogliamo juke-box.

di Luca Romeo