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C’era una volta in Romania

C’era (e c’è ancora) una Terra Promessa per i giovani aspiranti medici che non riescono ad accedere ai corsi universitari italiani, dove l’ingresso è più semplice, le tasse e la vita più abbordabili, le strade più sicure e i servizi più professionali.

Si parla del profondo west della Romania, soprattutto delle città più vicine all’Italia: Arad e Timisoara. Qui fanno meta ogni anno centinaia di studenti italiani che non hanno passato il test per Medicina.

I dati parlano chiaro, oggi in questi atenei studiano 604 nostri connazionali, i quali sono in testa nella classifica degli studenti stranieri nelle università romene, seguiti da Israele che, però, ha un sesto dei nostri iscritti. Vista così, la cifra è esorbitante.

Ma perché gli studenti italiani preferiscono studiare Medicina in Romania?

Il nemico pubblico per eccellenza è il numero chiuso delle nostre università. Una grande selezione “necessaria – secondo il rettore dell’Università di Genova, Giacomo Deferrari – perché è garanzia di qualità. Ai test per Medicina si vedono prove inguardabili: come possiamo accettare simili studenti, sapendo che in futuro potranno diventare i medici che ci cureranno?”

E allora fai le valigie e vai in Romania. Si fotografa così un Paese raccontato quasi come un El Dorado dai nostri studenti che vi abitano.

“Il tirocinio comincia subito – racconta un italiano – entri fin dalle prime lezioni in sala operatoria e assisti a operazioni delicate” mentre in Italia “al massimo ti fanno fare della teoria”.

E l’accesso? Meno costoso, senza numeri chiusi, ma non così semplice: “Ai corsi di Medicina vige l’obbligo di frequenza e se non passi l’esame di lingua (ogni studente deve conoscere bene il romeno, ndr) ripeti l’anno, come alle superiori”.

Una fotografia tutta rose e fiori, che va però a scontrarsi con lo scandalo delle lauree false: pare sia facile, infatti, ottenere un diploma universitario in modo clandestino, dietro corrispettivo in denaro.

Negli ultimi anni, sono ben sessantadue le lauree conseguite nell’est Europa e ‘stracciate’ una volta in Italia. Una circostanza che riporta alla memoria la finta laurea ottenuta in Albania da Renzo Bossi (senza che conoscesse l’albanese e senza che avesse mai frequentato una lezione) e che ha portato alle sue dimissioni dal Consiglio Lombardo e alle prime crepe nella Lega Nord.

L’intervento dell’Europa

Un fenomeno illecito che ha spinto l’Unione Europea a riconoscere solo dopo approfondite verifiche il valore delle lauree conseguite nell’est e che potrebbe trasformare l’El Dorado universitario in un percorso di studi inutile.

Resta il fatto che, grazie a queste centinaia di iscritti, lo Stato romeno mette in saccoccia milioni di euro italiani che sarebbero potuti finire nelle nostre casse pubbliche, sempre più a secco in seguito alla crisi economica.

Per questo “dobbiamo migliorare il sistema universitario – conclude Deferrari – soprattutto per quanto riguarda l’ambito medico. L’idea è quella di creare degli Ospedali per l’insegnamento e per la ricerca, istituti a disposizione degli studenti per esercitazioni pratiche, che permetterebbe di migliorare la preparazione e aumentare i posti disponibili, indebolendo così il numero chiuso”.

Una soluzione che potrebbe parzialmente risolvere il problema, ma che “il governo non sembra abbia fretta di discutere”.

Intanto il numero chiuso continua a spaventare, evidentemente meno del riconoscimento della laurea dell’Ue e i ragazzi con la valigia si moltiplicano. Timisoara e Arad li aspettano a braccia aperte, mentre le nostre casse statali piangono.

 

 

di Luca Romeo