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delitto di via poma
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Simonetta Cesaroni viene trovata cadavere il 7 Agosto 1990 in via Poma a Roma, uccisa con 29 coltellate

Alle 22.30 dello stesso giorno, la sorella scopre il cadavere negli uffici dell’ A.I.A.G. dove la vittima opera come segretaria (società legata agli ostelli romani). Viene dapprima incriminato il portiere Pietro Vanacore, poi assolto; e in seguito sono tratti in arresto una serie di personaggi successivamente scomparsi (come Roland Voller e Federico Valle).

Qualche anno fa una svolta. Esami di tipo ‘bitemarks’ rilevano un’ipotetica presenza di un morso in una parte del corpo di Simonetta Cesaroni, compatibile con la dentatura di Raniero Busco, ex fidanzato della giovane. Le disamine investigative prodromiche, come da avvenuta sentenza, dimostreranno la completa assenza di Raniero Busco sulla scene del crimine, con particolari omicidiari ben definiti.

L’“overkillink” ( la ferocia scatenata sul corpo di Simonetta) e l’autopsia psicologica dell’assassino non sono  mai stati compatibili con la figura di Raniero Busco in aggiunta fra l’altro a dei particolari di primaria attenzione.

L’intervista esclusiva                       

Esclusivamente per i nostri lettori, abbiamo pensato di intervistare la signora Roberta Milletarì, moglie di Raniero Busco. Chiunque si sia interessato alla vicenda riconosce in questa donna un coraggio ed un valore di rara caratura, per la tenacia e la coerenza.

Autrice di un libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, con l’ausilio di tecnici di settore, è stata il baluardo di un sentimento di difesa verso il proprio coniuge, rappresentando le voci di indignazione di larghi strati dell’opinione pubblica verso quei capi di imputazione a cui era sottoposto Raniero Busco.

Cominciamo l’intervista partendo dalle rilevazioni criminologiche indicate dall’avvocato Molinaro, legale storico della famiglia Cesaroni, concludendo che “era stato trovato un colpevole e non il colpevole”. Come giudica questa affermazione ?

Scriva lei ciò che vuole perché da parte mia non ho alcuna volontà di commentare tali affermazioni riguardo l’Avv. Molinaro. L’unica cosa che ricordo con grande fastidio è stato il suo adeguamento nei confronti della condanna richiesta dal Pm per Raniero: ergastolo.

Come ha avvertito la sua famiglia il peso dell’opinione pubblica prima e dopo la sentenza?
Per fortuna siamo stati sempre circondati da tantissime persone che hanno creduto in noi e nell’innocenza di Raniero; e questo anche dopo la terribile sentenza di primo grado che riteneva mio marito colpevole di questo efferato delitto.

La gente, gli amici, i colleghi di lavoro, gli abitanti della zona non ci hanno mai abbandonato e hanno assistito con noi alle udienze. Addirittura ci sono persone che le hanno seguite tutte in questi due lunghi anni.

E sono le stesse persone che con noi hanno gioito il 27 aprile alla lettura del dispositivo da parte della Corte di Appello, accompagnate da un’interminabile folla che chiedeva e voleva l’assoluzione di Raniero perché non lo riteneva colpevole. Quindi il peso dell’opinione pubblica è stato assolutamente positivo e abbiamo sentito una grande solidarietà nei nostri confronti che mano a mano andava crescendo nel tempo.

Per quali motivi secondo lei, non è stato dato peso agli accertamenti scientifici che scagionavano nella maniera più assoluta Raniero sin dall’inizio, e si è inteso ostinarsi vs un processo che è apparso palesemente indiziario?
Io non sono nella condizione di esprimere un parere, tantomeno un giudizio sulla gestione del primo grado di giudizio che ha lasciato tutti esterrefatti, addetti ai lavori e non.

La sorella di Simonetta ha riferito, a mezzo stampa, che la sentenza è stata destabilizzante. Non le sembra una dichiarazione un pò contraddittoria se consideriamo il fatto che, a quanto si apprende dai media, la famiglia della vittima non aveva mai nutrito dubbi su Raniero?

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Per quanto riguarda il giudizio della sorella, credo di comprendere il termine “destabilizzante” da lei utilizzato. Dapprima si condanna un uomo a 24 anni perché ritenuto colpevole e dopo 15 mesi si assolve per non “aver commesso il fatto”. Credo sia lecito porsi delle domande ma sono certa che, se la stessa sorella fosse stata presente almeno ad alcune delle 30 udienze tra il primo e secondo grado di giudizio, forse avrebbe capito da sola che Raniero è stato da sempre estraneo a questa vicenda.

E per finire, io credo che destabilizzanti siano stati i 15 mesi che abbiamo dovuto vivere con una condanna sulle spalle per un reato di cui non avevamo alcuna colpa. Quindici mesi senza futuro, quindici mesi con la paura di essere giudicati dalle persone che non conosci, quindici mesi senza sogni né progetti né un domani.

Quindici mesi a volte con lo sguardo a terra, senza utilizzare i verbi “mi piacerebbe” o “vorrei” e senza dare risposte ai nostri figli quando ci chiedevano cose a cui non sapevamo rispondere. Questo credo sia molto grave, un torto subito di cui mai nessuno ne risponderà mai.

Come darle torto ? L’assoluzione piena da parte della magistratura ha dimostrato pertanto una carenza di elementi probatori, una sorta di imbuto giuridico nel quale è stato collocato Raniero Busco. E’ doveroso ridare la giusta dignità alla famiglia di Busco, invischiata in una situazione a loro estranea; così come sarebbe giusto ridare dignità alla famiglia di Simonetta.

Per dirla alla maniera aristotelica, “la minima deviazione iniziale dalla verità si moltiplica col tempo migliaia di volte”. In termini più pragmatici: serve trovare il vero assassino, non un assassino.

di Domenico Romeo