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Quel pasticciaccio brutto del ponte sullo Stretto di Messina
Da quando la febbre delle grandi opere ha colpito i nostri politici, i cittadini si sono rivoltati e le piazze si sono riempite a suon di slogan. Nella mente di tutti, perché più recenti, sono le mobilitazioni in Val di Susa per impedire la costruzione del Tav Torino-Lione, ritenuta da buona parte della società civile “opera inutile e dannosa” e anche molto costosa.

Ma che fine ha fatto il progetto del ponte sullo Stretto di Messina? Analogamente ai ‘colleghi’ No-Tav, anche nel profondo Sud esiste un comitato No-Ponte che si è spinto contro la proposta, formalizzata più di un decennio fa dal secondo governo Berlusconi, poi accantonata (mai del tutto) e ritirata in ballo dall’ex ministro tecnico dello Sviluppo Economico Corrado Passera che ha chiosato con un “non si farà”, rispondendo al senatore Pdl Altero Matteoli, che lo scorso novembre lo ha indicato come una possibilità concreta, qualora il centrodestra vincesse le prossime elezioni politiche.

Al contrario del Tav, comunque, la sensazione è che questo progetto costosissimo resterà nei cassetti di qualche ingegnere a prendere polvere. Oppure no? Oppure – lo rivela Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano – lo Stato italiano rischia di dover pagare comunque gli appaltatori della grande opera, nonostante questa non sarà costruita.

Il motivo è banale, quanto paradossale: un decreto di Monti giudicato illegale. La conseguenza diretta è che il governo dovrà garantire agli appaltatori ben 500 milioni di euro di penali. Il tutto, grazie a una firma su un contratto stipulato dal governo di centrodestra nel marzo 2006, appena prima delle elezioni che avrebbero riportato a Palazzo Chigi Romano Prodi. Appena in tempo, dunque. Facciamo un passo indietro e torniamo proprio alla firma di quel contratto.

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La gara d’appalto
A fine 2005, la gara d’appalto per la costruzione del ponte fu vinta dal gruppo Eurolink, che pressò per la firma del famoso contratto in tempi stretti, vista la probabile (ed effettivamente avvenuta) vittoria delle successive elezioni del centrosinistra, il quale si era detto categorico nel voler fermare il progetto.

Nonostante le richieste di aspettare, appunto, la conferma del governo dopo il voto, il presidente dell’Anas e a.d. dello Stretto di Messina spa Pietro Cucchi, si precipitò sul contratto ponendo il suo avallo il 27 marzo, tredici giorni prima che gli italiani si esprimessero alle urne. Esisteva però un’importante clausola: le penali (da pagare per la mancata costruzione) sarebbero scattate solo 540 giorni dopo l’approvazione del progetto da parte del Governo.

Preoccupati, però, dalla possibile non approvazione da parte di qualsiasi esecutivo, ecco il capolavoro di Ciucci e Matteoli (ministro delle Infrastrutture nell’ultimo governo Berlusconi, dal 2008 al 2011): modificare il contratto e specificare che le penali sarebbero potute essere richieste anche se il Governo avesse temporeggiato per 540 giorni, senza approvare né bocciare la richiesta. La modifica diventa attiva nel 2011 e la scadenza dopo la quale Eurolink sarebbe potuta passare alla cassa era il 3 novembre 2012.

Scoperto l’inganno – e il rischio di dover sborsare la somma richiesta, circa mezzo miliardo di euro – il governo tecnico si è mosso, con colpevole ritardo, per bloccare in extremis il procedimento e formalizzando un decreto legge che congelasse il contratto per due anni. Monti credeva che gli attori del contratto avrebbero avuto la coscienza abbastanza sporca (e la faccia non abbastanza tosta) per non protestare.

Ma non aveva fatto i conti con la Spagna: la Sacyr, che fa parte del gruppo Eurolink, è spagnola ed è stata la prima ad accorgersi della strategia di Monti e a lamentare (supportata dall’ambasciata iberica in Italia) un inappropriato cambio delle regole in corso, per bloccare un contratto di fatto già firmato. Le conseguenze sono che il decreto è stato giudicato illegale e che – passato ormai il 3 novembre 2012 – lo Stato sia costretto a regalare a Eurolink 500 milioni di euro, per un’opera inutile e dannosa per l’ambiente che non verrà mai costruita.

Almeno finché non si troverà (se mai si riuscisse a trovare) un ulteriore escamotage per evitare questo assurdo esborso di denaro pubblico. Un pasticciaccio brutto, costruito ad arte da una classe politica che ci ha governato nell’ultimo decennio e che ancora oggi, alla luce delle prossime elezioni, chiede fiducia agli elettori.

di Luca Romeo