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“Il tuo corpo è colonna di fuoco, affinché arda e faccia ardere”. Si possono prendere in prestito queste poche parole tratte da Un irresistibile richiamo di Franco Battiato per cercare di spiegare che cosa è successo la domenica mattina del 13 gennaio in piazza San Pietro.

Il Papa ha cominciato il suo Angelus da soli quattro minuti, quando un gruppo di femministe appartenenti al movimento ucraino Femen, creano scompiglio in mezzo ai fedeli. Sono nude dalla vita in su e sul proprio corpo – quel corpo che diventa fuoco – hanno due scritte: “In gay we trust” (“crediamo nei gay”) sulla schiena e “Shut up!” (“Taci!”) sul petto. Un messaggio diretto rivolto proprio al pontefice, accusato di essere omofobo per non aver impedito le manifestazioni degli ultracattolici in Francia, degli stessi giorni.

Il presidente transalpino Hollande, infatti, in linea con le leggi vigenti in Europa, sta preparando dei decreti che permettano i matrimoni gay e le adozioni per le coppie omosessuali, misure che hanno fatto indignare la Francia più conservatrice, scesa in piazza per impedire questo salto verso il progresso.

Le attiviste riconosciute in piazza San Pietro, quattro in totale, provenivano due dall’Ucraina, patria di Femen e due dalla Francia. La solidarietà tra le femministe dei due Paesi, nasce dopo la vicenda dello scorso marzo legata all’arresto delle Pussy Riot, gruppo punk russo composto da ragazze che avevano ‘osato’ cantare una preghiera contro Putin in una cattedrale di Mosca.

Per protestare contro la misura cautelare, giudicata estrema, il gruppo Femen si è attivato con manifestazioni nella vicina Ucraina, durante le quali una delle femministe di spicco, Inna Shevchenko, è stata accusata di vandalismo. Ricercata, la ragazza ha preferito fuggire a Parigi, dove è riuscita a fondare un altro punto di raccolta di Femen.

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Proprio Inna Shevchenko, quella domenica mattina, era una delle femministe bloccate dalla polizia a San Pietro e probabilmente anche nel nostro Paese ricadranno su di lei alcune accuse come manifestazione non autorizzata e atti osceni in luogo pubblico.

“Il corpo nudo è il nostro strumento di lotta, non di seduzione. Perché nella pubblicità di un profumo non fa scandalo, mentre in politica sì?” le parole dell’attivista fermata.

“Se avessimo protestato con i classici cartelloni, non saremmo nemmeno state ascoltate” hanno spiegato le attiviste a un giornale russo, dopo una manifestazione a Mosca, “in un mondo in mano agli uomini – ha rincarato la Shevchenko secondo l’Ansa – è l’unico modo per attirare la loro attenzione”. Tutto era partito nel 2008, contro il turismo sessuale in Ucraina, poi i finanziamenti (sempre volontari) che crescono e le adesioni delle femministe di tutta Europa. Ora la dimostrazione contro il Papa.

Un movimento che combatte la propria guerra senza armi, ma con il proprio corpo, facendo in modo che arda in un messaggio di pace e che faccia ardere le coscienze di chi ascolta questo messaggio. Non ci si aspettava, certo, che le femministe in topless trovassero ascolto direttamente da parte del Pontefice, ma neanche – come è successo – che fossero picchiate da una signora di passaggio, da una donna, proprio come loro.

Certo, le ‘sextremists’ – come loro stesse si definiscono – non sono sicuramente delle manifestanti moderate, ma non hanno forse ragione a dichiarare che se lo fossero, resterebbero inascoltate? E non hanno ragione a dire che se non ci scandalizziamo per un seno nudo in una pubblicità (o in un cinepanettone o perfino in un Tg nazionale) non dovremmo farlo neanche se usato come strumento politico? Forse la dimostrazione di Femen a San Pietro ha avuto più un effetto mediatico che un risultato politico, ma la cosa certa è qualche dubbio nella società civile europea lo ha lanciato. Ed è ora che la gente lo colga.

 Di Luca Romeo