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Gli anni ’80 in Puglia sono caratterizzati dai “moventi” lucrativi, dei delitti commessi per affermare o accrescere il potere della nascente SCU, dalle azioni volte a contrastare i tentativi di repressione dell’autorità legale. Sono anni in cui, l’assenza di coesione e l’attesa di una trasformazione sociale portano fin troppi giovani a rispettare un codice d’onore che li rende schiavi degli emergenti circuiti malavitosi.

In questo macabro scenario si staglia la parabola umana e sociale di un giovane sui generis, la cui irrefrenabile corsa verso un futuro libero da vincoli sociali, lo porta a divenire un vero e proprio boss della Sacra Corona Unita.

Antonio Perrone, primogenito di una benestante famiglia salentina, sogna di evadere da quella realtà consuetudinaria, che tiene in gabbia il suo spirito ribelle.

Protagonista di folli scorribande alla conquista del territorio, finisce per essere nuovamente “ingabbiato” dai suoi stessi meccanismi e da quelli di un sistema giudiziario che ha sentenziato per lui la pena dell’ergastolo.

Detenuto dal 1989, in regime di 41 bis dal 1992 al 2006, scrive il suo “Vista d’interni”: una storia, in forma di “diario di carcere” intervallata da flashback autobiografici, che non ha nessuna trama epica e nessun eroe. Solo la banalità del male e le sue orribili conseguenze.

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Quella di Perrone è una testimonianza lucida, priva di vittimismi, che si presta a ricostruire, in maniera critica, un percorso esistenziale segnato, in primis, dalla perdita della propria limpidezza d’animo; animo, il suo, come quello di tanti altri, macchiato sin dagli anni della giovinezza dalla droga, dalle rapine, dal racket del gioco e delle estorsioni.

Le sue parole assumono qualità storica quando, senza reticenza, raccontano delle organizzazioni pugliesi e di quella solidarietà omertosa che le teneva in piedi. Il suo obiettivo è stato quello di mutare i rituali, le modalità di coesione e le strategie criminali delle altre mafie, così da svilupparne una con identità propria.

Un fenomeno quasi poco preoccupante, definito la “quarta mafia” in ordine di importanza; se non fosse che, proprio grazie alla scarsa considerazione ricevuta, la SCU ha saputo espandersi e radicarsi su di un territorio fino ad allora vergine, infiltrandosi nella politica, nelle aste giudiziarie e imponendo la propria supremazia in tutti i traffici illeciti del tacco d’Italia.

Come anelli di una catena, uniti e forti, la SCU affilia le sue reclute, dalle diverse storie per età ed appartenenza sociale.

Quella di Antonio Perrone è la storia di un giovane benestante, che da voce di ribellione sociale si trasforma in voce critica e partecipativa di una realtà contaminata, di cui egli stesso è stato il camaleonte sociale.

Di Annalisa Ianne