(foto fonte web)

(foto fonte web)

Spread the love
(foto fonte web)
(foto fonte web)

“Morto un Papa, se ne fa un altro”. L’origine di questo detto è oscura ai più, ma la sua origine storica è palese: nella lunga storia della Chiesa cattolica sono stati rarissimi i casi in cui il sommo seggio è rimasto non occupato per lunghi periodi.

Tuttavia, la successione non è mai stata avulsa da pecche e peculiarità. Per le prime, basti pensare ai tempi in cui lo Stato della Chiesa era un vero e proprio impero e alle varie figure controverse che hanno rivestito e lottato per la carica. Per le seconde, non resta che guardare alla data di mercoledì 28 febbraio, giorno in cui papa Benedetto XVI ha abdicato ufficialmente. Prima di lui, l’ultima in ordine di tempo fu Gregorio XII, nel 1415.

Tornando ai giorni nostri, è scontato che essere il successore di papa Giovanni Paolo II non sarebbe stata un’impresa facile per nessuno. Non è stato solo il secondo Papa nella storia, per durata di pontificato, ma una delle figure più influenti e complesse del ventesimo secolo: un conservatore riguardo alle problematiche dei contraccettivi e del sacerdozio femminile, ma anche progressista per la sua sponsorizzazione delle riforme adottate dal Concilio Vaticano Secondo e per la sua apertura al dialogo con le altre Chiese.

Suo obiettivo, per il quale ha visitato innumerevoli volte 129 Paesi, era unire i cristiani, ebrei e musulmana, riunendo così le “tre religioni abramiche”. Infine, la sua influenza fu fondamentale nella fine di importanti dittature. Quest’ultima fu forse ciò che portò ad uno degli eventi più scioccanti del suo pontificato e del secolo scorso in generale: l’attentato del 1981.

In quel tempo, Papa Giovanni Paolo II aveva pubblicamente annunciato al mondo il suo supporto al sindacato Solidarność, il primo non controllato dal Partito Comunista, nato in un Paese soggetto al patto di Varsavia.

La teoria più diffusa è che lo Stato dei Soviet ordinò l’esecuzione e che gli attentatori fossero quattro, tra cui il turco Mehmet Ali Ağca.

Il piano comprendeva anche un diversivo, un’esplosione che avrebbero utilizzato per generare il panico tra la folla di piazza San Pietro e coprire la fuga. Il successo dell’operazione si fondava infatti sulla loro convinzione che i fedeli attorno a loro sarebbero fuggiti alla vista di un uomo armato, lasciando a Mehmet il tempo di colpire con successo e di darsi successivamente alla fuga. La storia insegna che così non fu visto che, riavutisi dallo shock iniziale, la folla si avventò su Ağca, assieme ad una suora e al capo della sicurezza vaticana Camillo Cibin. L’evento fece saltare tutti i piani prestabiliti.

Nonostante le gravi ferite riportate all’addome, Giovanni Paolo II riuscì a sopravvivere. Stando a quanto riportarlo, riuscì anche ad instaurare una relazione d’amicizia con l’uomo che tentò di assassinarlo, avendolo già perdonato poco dopo il fallito attentato. Perdonato da Carlo Azeglio Ciampi dietro sua richiesta nel 2000, spese poi altri dieci anni di reclusione in Turchia.

Le investigazioni portarono alla pista dell’Unione Sovietica, la quale contrattaccò asserendo che Ağca fosse una pedina piazzata apposta per screditare lo stato dei Soviet, piantata grazie ad una collaborazione tra i Lupi Grigi turchi, i servizi segreti italiani e la CIA.

Ma quello del 13 maggio 1981 non fu l’unico attentato alla vita di Giovanni Paolo II. E di questo ne racconteremo dettagliatamente nel prossimo articolo, seconda e ultima puntata di una storia recente.

di Simone Simeone