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«I compiti che l’individuo deve affrontare, i compiti di sviluppo della vita, sono il presupposto di una crescita sana e soddisfacente nella nostra società. Un compito di sviluppo è un compito che si presenta in un determinato periodo della vita di un individuo e la cui buona risoluzione conduce alla felicità e al successo nell’affrontare i problemi successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso conduce all’infelicità, alla disapprovazione da parte della società e a difficoltà di fronte ai compiti che si presentano in seguito». E’ questo il pensiero espresso da R. Havighurst, uno dei principali studiosi dello sviluppo dell’individuo nella società.

Gli adolescenti abbandonati a loro stessi e spesso confusi, «senza efficaci filtri simbolici tra il Sé e le cose offerte dal sistema sociale che permettono di attenuare l’ansia», cercano di difendersi da una “sensazione di malessere”, talvolta di angoscia, di frustrazione, dalla paura della complessità del mondo che li circonda, rifugiandosi in una dimensione collettiva. Infatti, una “fase” fondamentale dello sviluppo evolutivo è l’esperienza del “gruppo dei pari”. È nel gruppo che l’adolescente soddisfa bisogni di sicurezza e di appartenenza, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori e diluisce la responsabilità dei propri comportamenti.

L’agire di gruppo esonera i ragazzi dal considerarsi colpevoli. Questo concetto richiama direttamente quello di “disimpegno morale”, il quale funziona attraverso meccanismi di trasferimento e di diffusione della responsabilità, permettendo all’individuo di non riconoscersi responsabile delle azioni commesse, evitando di dover confrontare il proprio comportamento rispetto agli standard sociali e morali a cui il soggetto dice di aderire. Questo meccanismo è inoltre spesso facilitato e mantenuto da alcune figure adulte che, di fronte a certi comportamenti, a volte anche di particolare violenza, mantengono un atteggiamento di giustificazione se non di assoluzione, giudicandoli delle “ragazzate”.

Arriva il momento in cui gli adolescenti giustamente sentono il bisogno di “allontanarsi” dalla famiglia e dalla scuola per cercare una propria autonomia. Il gruppo, in questo caso, offre accoglienza, protezione e riconoscimento per la nuova identità che si va a formare. Ciò li aiuta a sentirsi individui liberi di sperimentare nuove regole, nuovi modi di stare in relazione, nuove dimensioni quali l’autonomia, l’espressività, l’affettività, l’affermazione personale e la creatività.

Il gruppo dei pari è un ambiente aperto in cui è più facile esprimersi e trovare le forme per esprimere la propria personalità, anche contestando il mondo degli adulti. Però non sempre tutto ciò che propone il gruppo è positivo; talvolta il sano bisogno di contestazione e trasgressione sconfina nella violenza, nel bullismo, nel teppismo o nell’uso di sostanze stupefacenti.

Spesso, infatti, si assiste alla costituzione del gruppo-branco, che può sfociare, specie in situazioni di disagio sociale, in bande di giovani che trovano nella forza della loro unione il coraggio di commettere reati. È chiaro, dunque, che un tipo di cultura di gruppo può influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri.

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Accade molte volte di trovarsi in situazioni in cui alcuni bambini vengono rifiutati dai pari perché adottano comportamenti aggressivi e non riescono a farsi accettare; il rifiuto dei pari è un “campanellino d’allarme” nonché indicatore importante perché può portare il soggetto ad aggregarsi selettivamente con altri compagni violenti.

L’adolescente comunque cerca libertà e autonomia, allontanandosi dalla famiglia e dalla scuola, ma ha pur sempre bisogno di valori e regole che sono dettate dal primo contesto e ambiente di socializzazione primaria qual è la famiglia.

Nonostante i tradizionali meccanismi di trasmissione dei valori siano stati messi in crisi, dal momento che la famiglia sembra aver rinunciato al suo ruolo di fornire regole e orientamenti di vita: «Il ruolo della famiglia resta di cruciale importanza nelle relazioni che gli individui intessono con il mercato del lavoro, con le istituzioni e nel definire l’insieme di vincoli e risorse materiali e simboliche che caratterizza il loro timing esistenziale».

Svolgere bene la funzione educativa è fondamentale per l’intero assetto sociale; ciò che succede nella famiglia, a livello di relazioni educative sin dalla primissima infanzia ha un’importanza cruciale sul benessere della persona in formazione, cioè del bambino, del giovane, dell’adulto e quindi anche sul benessere della società, sulle comunità sociali dove le persone vivono. Così, un ambiente familiare deprivato culturalmente ed economicamente, sicuramente sarà in grado di offrire al bambino cure inadeguate e poche risorse relazionali. Ed è proprio nel caso in cui l’adolescente vive in una “famiglia patologica”, dove anche gli stili educativi sono basati su pratiche disciplinari violente, che il “gruppo” può rappresentare il punto di riferimento quotidiano non ha solo una valenza positiva.

 

di Marco Arnesano

 

Riferimenti bibliografici:
R. Havighurst, Developmental tasks and education, Davis Mckay, 1952.

A. Bandura, Il senso di autoefficacia. Aspettative su di sé e azione, Edizioni Erickson,1996.

A. Palmonari, Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, 1997.

S. Palidda – M. Sanfilippo, Emigrazione e organizzazioni criminali, Edizioni Sette Città, 2000.