(foto fonte web)

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Era il 10 ottobre 2012, quando nella scuola elementare di Cittadella, in provincia di Padova , si è avuto il drammatico epilogo di una lunga e sorda guerra combattuta per mezzo di carte bollate tra genitori che dal 2004 si disputavano la custodia del figlio che ora ha dieci anni.  Renato, il bimbo conteso, era stato portato via con la forza dalla propria classe cercando in tutti i modi, e davanti a decine di persone, di evitare il trasferimento in un istituto dove è stato ospitato in attesa di preparare l’affidamento in via esclusiva al padre.

Un  decreto della Corte d’Appello di Venezia aveva stabilito che «l’allontanamento del minore dall’ambiente materno e il suo affido in via esclusiva al padre», con collocamento in una comunità.

La scuola non si era dimostrata un terreno più favorevole, anzi, aveva ingigantito gli effetti dell’intervento, trasformandolo in un evento pubblico. Fuori dalla scuola c’erano la mamma e i nonni che con una videocamera avevano ripreso la scena: il bimbo era stato letteralmente portato via con la forza, ed aveva cercato di divincolarsi con vigore e disperazione: due persone lo tenevano per le gambe, un’altra lo afferrava per le spalle, mentre lui tirava calci fino a cadere a terra per essere poi trascinato mentre ancora si disperava, fino ad essere caricato su un’auto che si allontanava.

La Questura si era limitata a parlare di “notevoli difficoltà” nell’esecuzione di un provvedimento legittimo e concordato con un consulente della Corte d’Appello. Il padre aveva ottenuto quello che aveva chiesto, ritenendo che in quella maniera fosse garantita l’integrità psicologica del figlio.

Dopo questa triste vicenda di Padova speravamo di non vedere mai più un bambino trascinato e portato dove non vuole, nemmeno se si pensa che «è per il suo bene», e invece solo pochi giorni fa a Salerno due fratellini di 7 e 8 anni, finiti nel mezzo della disputa tra i due genitori separati, sono stati affidati al Tribunale dei Minori e, come per il caso del bimbo di Padova, a “prelevarli” all’uscita di scuola si sono presentate quattro volanti della polizia.

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Il filmato dell’allontanamento dei bambini, girato dalla madre è diventato, come era successo anche per il caso di Padova, in poche ore di dominio delle televisioni nazionali. Al centro della contesa familiare, il padre accusato di aver molestato sessualmente i due bambini e la madre, accusata di Sindrome da Alienazione Parentale.

«Bambini incitati dalla mamma all’odio verso il papà, tanto da rifiutarlo e non volerne più sapere. Madri che fanno ai figli il lavaggio del cervello per metterli contro il padre». Sono questi i tratti distintivi della cosiddetta Sindrome di alienazione parentale o PAS.

A proposito della vicenda del bambino di Padova, l’ ultima sentenza, nei giorni scorsi, è arrivata dalla Cassazione, consentendo alla madre di riprendere con sé il bambino.

È la prima volta che la Cassazione si è pronunciata sulla PAS. La Suprema Corte ha affermato che la PAS è tuttora un’ipotesi, non avvalorata da prove scientifiche. Con questo gesto l’Italia si è messa in pari con gli altri paesi europei, ultima la Spagna, che non riconoscono la validità scientifica di questa sindrome.

Hanno ragione i giudici o chi sostiene che di PAS soffrirebbe un figlio di divorziati su tre?

Secondo i pediatri della Società Italiana di Pediatria,forzare il bambino a dimostrare affetto verso un genitore, separandolo dall’altro, non sembra essere certamente la via maestra verso il benessere dello stesso.

Ad oggi, la PAS, non è una sindrome riconosciuta dalla letteratura scientifica di riferimento, non è inclusa nel DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, né nell’ICD, il manuale di classificazione internazionale delle malattie, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre la comunità scientifica si è già pronunciata contro l’uso improprio della PAS nelle sofferte e spesso laceranti controversie per l’affidamento dei figli. Certamente i bambini soffrono per il divorzio dei genitori, ma occorre fare attenzione a non etichettarli con patologie, piuttosto è necessario ascoltarli, non obbligarli ma aiutarli, poiché nel caso in cui non volessero vedere un genitore esiste sicuramente  un motivo che va compreso.

Come evitare che casi come questi accadano ancora? In primis il diritto dei figli a crescere con entrambi i genitori al proprio fianco deve necessariamente essere il principio guida per  tutti gli addetti ai lavori a partire dai Consulenti ed Esperti, tra i quali psicologi, medici, pedagogisti e assistenti sociali che collaborano con il Tribunale dei Minori. Inoltre, a garanzia di ciò, dovrebbe esserci da parte degli stessi Consulenti ed Esperti, la certificazione da parte delle società scientifiche di riferimento,  di una preparazione solidissima e specifica, a garanzia dei diritti e della tutela delle famiglie e soprattutto dei minori.

di Francesca De Rinaldis