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Il genere Noir è uno dei più famosi e con lo stile più marcato della storia della letteratura. La sua concentrazione su crimini di natura sessuale e sul cinismo dei suo detective protagonisti ha attratto più di una generazione, portando il Noir ad essere rivalutato da molti altri media.

“L.A. Noire”, della casa produttrice Rockstar, ha avuto un notevole successo di pubblico e di critica. Sorge spontaneo interrogarsi sul come un genere del genere abbia potuto avere origine e successo, come sia riuscito a catturare l’immaginario di così tante persone.

Mai come in questo caso, il genere Noir è figlio del suo tempo, cavalcando l’onda di ‘popolarità’ di eventi reali. Tra questi uno dei più famosi è quello della cosiddetta Dalia nera, all’anagrafe Elizabeth Short, apparentemente una delle tante ragazze piene di belle speranze che in quegli anni si dirigevano a Los Angeles con l’auspicio di diventare la prossima grande stella del cinema.

La vita di Elizabeth Short fu tuttavia molto variegata. Nata e cresciuta a cavallo della “grande depressione”, la giovane nativa di Boston dovette affrontare prima l’apparente suicidio del padre per poi ritrovarlo e andare a vivere con lui a Los Angeles molti anni più tardi, per poi separarsi nuovamente in seguito ad un litigio nel 1943, anno in cui trovò lavoro nella ora Base Aerea di Vanderberg. In questo luogo incontrò il maggiore Matthew Michael Gordon Jr., con cui instaurò una relazione duratura che portò l’uomo a chiedere la sua mano per via epistolare mentre si riprendeva in India dalle ferite riportate durante un incidente di volo.

Purtroppo, Gordon non tornò mai in patria, un secondo incidente aereo stroncando la sua vita il 10 agosto 1945. In seguito, la giovane continuò a spostarsi fino a ritornare nell’area di Los Angeles sei mesi prima del giorno in cui il suo corpo venne ritrovato, il 15 Gennaio 1947.

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Il ritrovamento del suo corpo fece il giro della città di Los Angeles a causa della ferocia e dell’accanimento del suo assassino nei confronti del suo corpo, al punto da venire scambiato per i resti di un manichino dalla donna che lo ritrovò. Vari parti di carne erano state asportate dal corpo, che venne poi messo in possa e completamente svuotato dal sangue. Il soprannome Dalia Nera le venne dato dalla stampa locale, la quale definì Elizabeth Short una ‘avventuriera’, una donna di facili costumi che ‘predava’ l’Hollywood Boulevard.

È forse proprio a causa dell’eccessivo interessamento della stampa nel caso che questo non venne mai risolto. I media trasformarono il caso d’omicidio in una sensazione mediatica, esagerando dettagli e omettendone altri da loro scoperti alla polizia, come i vari pacchetti contenenti effetti personali e documenti della Short che il killer continuò a spedire al Los Angeles Examiner.

Questi fuochi così fomentati trasformarono la vicenda da una tragedia ad una galleria delle più oscure parti dell’essere umano. Più di 50 persone, sia donne che uomini, confessarono di aver commesso l’omicidio e altre ancora chiamarono per incolpare un parente. La polizia ci mise giorni per riprendere in mano l’indagine.

Un reporter del Los Angeles Daily News, Gerry Ramlow, dichiarò: ‘Se l’omicidio non venne mai risolto, fu a causa dei reporters. Prima che la polizia riprendesse in mano la situazione, erano dappertutto calpestando prove e circolando indisturbati per gli uffici della polizia. Si sedevano alle loro scrivanie e rispondevano ai loro telefoni. Molti indizi forniti dal pubblico non raggiunsero mai la polizia, perché i reporter correvano a pubblicarli.’

Nei mesi che seguirono, la polizia di Los Angeles riuscì a restringere la ricerca ad un numero di sospetti -alcuni ipotizzarono anche una connessione con i ‘Cleveland Torso Murders’, una serie di omicidi che avvennero nella città tra 1934 e 1938- senza mai però riuscire a trovare prove conclusive, quasi sicuramente a causa di una delle più gravi istanze di malainformazione e strumentalizzazione del giornalismo per fini totalmente diversi da quelli su cui si fonda la sua deontologia.

di Simone Simeone