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14 settembre 1991, è notte. Torino dorme, si diverte, trasgredisce; i senzatetto, aspettando il mattino, cercano solo un riparo per riposare ubriachi, un rigido cartone e viadotti come tetti di mura domestiche.

Nessuno poteva immaginare che quella notte di fine estate si sarebbe trasformata in complice inconsapevole di un brutale delitto ancora oggi insoluto. Squilla il telefono della caserma dei carabinieri: <<C’è un corpo vicino al mio rifugio di cartoni, ma io non c’entro nulla, quella è una signora elegante >>.

Gli agenti della pattuglia accorsa sotto il viadotto della tangenziale di Moncalieri costateranno con i propri occhi la veridicità di quella telefonata; non si trattava di un folle ubriaco. Tanti cartoni ammassati, s’intravede un braccio freddo e le linee di un vestito di voile rosso a balze; per un giorno intero quel corpo resterà senza un nome.

Da tutti sarà ricordata come “la dama in rosso”, ma si tratta di Franca Demichela, 48 anni, figlia di un importante dirigente Fiat. Secondo il medico legale intervenuto sul posto, si sarebbe trattato senza molti dubbi di strangolamento. Un terribile evento a prima analisi interpretato superficialmente come il gesto folle di un reietto che vive ai margini della società; il povero che assale il ricco, un duro colpo alla “Torino per bene”. Chi ha pensato questo ha sbagliato. Perché in fondo sì, esiste una Torino per bene e un alter ego “marcio”, ma è anche vero che spesso è difficile distinguere queste due facce della metropoli. Esistono varie sfumature, contaminazioni, “gemellaggi”.

Un dualismo troppo spesso tangibile. Saranno le indagini condotte dagli investigatori impegnati nel caso a far emergere la realtà, quella vera. Lontani da perbenismo e ipocrisia, lontani anche dagli status sociali siamo di fronte ad un corpo senza vita. Franca era una donna vivace ma dalla personalità irrequieta, aveva sposato nel 1977 Giorgio Capra, un timido e introverso impiegato di quell’azienda di cui lei conosceva i piani alti. Lo scrittore Nico Orengo disse di loro: << Lui era il giorno, lei la notte, una coppia speculare e perfetta. Una moglie trasgressiva e un marito irreprensibile.

In una città fatta di rette e di angoli, militare e geometrica, dove riesci a trovare le curve solo la notte >>. Una donna che pur conservando la rispettabilità che i salotti di Torino impongono, mascherandosi dietro un apparente matrimonio borghese, riusciva a godere a pieno di tutto ciò che la notte trasgressiva aveva da offrirle. Alberghi a ore, amicizie occasionali tra i nomadi slavi, le serate sotto i portici di via Nizza tra i vagabondi.

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Il patrimonio andava dilapidandosi dietro esosi esborsi per amanti, anch’essi occasionali, che trovavano in questa donna importanti fonti di guadagno. Andava scoprendosi lentamente la coperta sopra quel matrimonio di facciata, ridotto all’osso, fatto di umiliazioni e di vessazioni. Un uomo costretto a nascondere i gioielli di famiglia per evitare che fossero usati per scopi poco dignitosi.

Un marito che nonostante tutto non avrebbe mai fatto interdire la moglie dopo quattordici anni di matrimonio, cercando piuttosto di frenare disperatamente quel fuoco autodistruttivo che bruciava dentro la propria compagna. Nella ricostruzione dell’ultima sera la signora Demichela è stata vista intorno alle undici e mezzo, una volante notò la donna a bordo di una Golf Gt, era in compagnia di tre slavi. Poco prima dell’una la avvistarono davanti al Mokita di piazza San Carlo, sembrava che li stesse già salutando. Un cameriere la vide entrare sulla sua 126, poi ritrovata vicino casa, regolarmente parcheggiata.

Una signora del condominio di via Bramante la sentì entrare nel portone verso le due Gridando: <<Bastardo, ti faccio vedere io!>>; gridava a un uomo, che replicava a voce bassa: <<Ma io ti faccio interdire>> L’ inquilina raccontò che presero l’ascensore insieme fino al terzo piano. Continuando a discutere entrarono in casa. Fu allora che la voce di Franca passò dal tono aggressivo all’affanno. Il medico legale fissò l’ora della morte circa a quel momento.

C’era il Contabile con lei? O uno dei tre slavi della Golf Gt? O chi altro? A causa dei rapporti tormentati Anche Giorgio Capra fu messo sotto torchio dagli inquirenti ma fu scagionato; per la notte dell’omicidio aveva un alibi: dormiva presso il domicilio della madre. Anche i tre amici slavi indagati per molto tempo furono poi prosciolti. Piste a vuoto, nessun indizio rilevante sulla scena del crimine lasciano sospeso nel nulla questo delitto senza assassino.

In molti credono ancora oggi che lo stile di vita di Franca sia l’unico vero colpevole della sua morte. “La trasgressione più grande che puoi fare a questa città è andare con gli immigrati. Lei lo faceva. E c’era uno squallore sublime in tutto questo. In lei c’era la rivolta contro tutto, la ribellione al padre. C’era la provocazione dei vestiti, con la stoffa di qualità mediocre. C’erano i simboli: l’azienda di lui, la boutique di lei. C’era il basso che fa finta di essere alto. E lei che se ne andava sempre più verso il basso, dentro i night per gli extracomunitari. Non aveva nemmeno la macchina delle signore della collina, però diceva d’essere Nefertari, la regina degli egizi in contatto con la luna”.

di Alberto Bonomo