(foto fonte web)

(foto fonte web)

Spread the love
(foto fonte web)
(foto fonte web)

La malasanità non può essere un frutto esclusivo di nepotismo, corruzione e raccomandazioni dilaganti, malasanità è anche mandare giovani medici, magari neolaureati, a lavorare in un ospedale senza avere un briciolo di esperienza, come fossero dilettanti allo sbaraglio di corridiana memoria.

Per quanto l’Italia non sia un grande esempio di limpidezza nel settore – i casi di malasanità dovuti ad assunzioni ‘di favore’ e abusi di potere sono tanti e si riproducono regolarmente nei nostri ospedali – anche le università sono coinvolte in un sistema che vede i giovani sempre più chini sui libri di teoria da studiare a memoria, ma ben lontani dai luoghi in cui la professione si svolge in modo reale. Anche dove pare chiaro che per imparare in modo corretto e completo un mestiere, occorre fare gavetta (e tanta) sul campo.

Negli ultimi anni, alcuni atenei italiani che hanno capito il controsenso di chi studia medicina senza conoscere in modo esaustivo la professione, si stanno mobilitando con seminari che introducono i giovani studenti nelle sale operatorie, per cominciare presto ad avere dimestichezza con la loro futura professione.

Ultimo caso in ordine cronologico, è quello dell’Università di Parma, che da mercoledì comincerà un “Laboratorio per i sistemi sanitari e l’organizzazione dei servizi per la salute”, un ottimo ponte “tra la formazione universitaria e la professione medica”, come garantiscono dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia, attraverso il sito internet dell’ateneo.

(foto fonte web)
(foto fonte web)

Di che cosa si tratta? Gli studenti interessati potranno seguire innanzitutto attività didattiche ‘classiche’ (perlopiù lezioni frontali), dopodiché – assimilata la teoria – cominciare i seminari intensivi nei quali testare nella pratica le nozioni studiate.

“Esercitazioni sul campo – spiegano dalla Facoltà – per sperimentare dal vivo e non in situazioni simulate, il rapporto di prossimità tra sistema sanitario, professionisti, assistenza e ricerca”.

E non finisce qui, perché per calarsi in modo ottimale nell’atmosfera lavorativa, agli studenti verranno proposti anche incontri di politica sanitaria, economia sanitaria, governo clinico, etica medica, metodologie di ricerca e innovazione, pratica ‘sul campo’ – of course – e infine connessione della medicina con altre discipline e professioni, a livello locale e internazionale.

Se l’Italia non brilla nel settore medico e se i nostri ospedali non sono esempi di massima efficienza, l’università non può permettersi di restare a guardare con le mani in mano: ben vengano i laboratori di studio concreto, ben vengano questi insegnamenti in cui l’abbandono parziale del libro di teoria non è più tabù e nei quali l’aspetto pratico diventa componente essenziale dello studio.

Il corso all’Università di Parma – che non è il primo caso in un ateneo italiano e si spera non sia l’ultimo – garantisce agli studenti il riconoscimento dei crediti formativi necessari per la laurea a chi decide di frequentarlo, un accorgimento dovuto e che serve per incentivare gli studenti ad accedere all’iniziativa.

A inizio febbraio il giornale online quotidianosanità.it ha evidenziato come l’Italia sia sprofondata al 21° posto in Europa quanto a efficienza del settore sanitario.

Di fronte a questi dati sconcertanti, l’università ha il dovere morale di muoversi in direzione contraria, sperando che questo passo compiuto dall’ateneo parmense, diventi una grande marcia cui parteciperanno tutte le Facoltà di Medicina nazionali.

La guerra alla malasanità parte anche da qui.

di Luca Romeo