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Continuano le inchieste di Altriconfini.it sui misteri della cittadina già teatro del massacro del 2006. 

Il 7 febbraio 1996, in una corte di Erba (Co), viene ritrovata morta Marisa Fontanella, una bella ragazza erbese di 26 anni.  È a terra, distesa a pancia in giu’ sul pavimento in un lago di sangue, con la gola recisa, in un bilocale da tempo disabitato di via Carcano,  nella parte alta di Erba.

È all’interno di una bella corte, un pò trascurata. La ragazza era solita uscire di casa intorno alle 8.00  per recarsi in auto al lavoro presso un negozio di abbigliamento a Como. Dopo che i genitori erano già usciti prima di lei e che la sorella Stefania aveva preferito rimanere a casa nel caldo del letto, invece di recarsi a sua volta al lavoro, Marisa era scesa, ma, prima di poter uscire, aveva incontrato il suo assassino, probabilmente appostato sulle scale del pianerottolo.

Viene zittita,  trascinata nell’appartamento  disabitato e  uccisa con una lama affilata («èentrata e uscita senza lasciare slabbrature» disse il medico che eseguì l’autopsia)  che le ha reciso la giugulare, dissanguata, dopo una breve agonia è coperta sulla viso da un materasso, probabilmente per impedirle di gridare.

L’allarme

Allarmati per il suo mancato arrivo, i colleghi del negozio pensano però ad un incidente lungo la strada. Avvisano i familiari della ragazza. Sopraggiunge anche il suo fidanzato, che non la vede dalla sera prima. La cercano per ore lungo il tragitto, negli ospedali, dando per scontato che fosse uscita di casa. Solo ore dopo si accorgono che invece la sua auto è ancora parcheggiata in garage.

 A trovarla, Tito Cognetti, il marito di Michela, l’amica del cuore di Marisa a cui i genitori si erano rivolti per aiutarli nella ricerca. E il ritrovamento è casuale: Tito si appoggia alla porta dell’appartamento disabitato e questa si apre rivelando il suo terribile contenuto.

Tra la polvere, le ragnatele, gli scatoloni, i mobili polverosi, trovano lei, a terra, vestita di tutto punto, il suo zainetto vicino, completamente svuotato. Non si trovano più, infatti, le sue chiavi di casa. In compenso, vicino al suo corpo viene ritrovata una carota, che poi diventerà uno degli elementi chiavi delle indagini.

Scomparsa

I genitori di Marisa sono sconvolti, anche perché la mamma Tiziana Alfano era convinta che si trattasse di un rapimento. Il padre Domenico Fontanella, dipendente della Gasfire, un’azienda che produce cucine a gas  proprio ad Erba, sconvolto, non sa cosa pensare. «Ho paura, dice Tito Cognetti, Finche’ non lo mettono dietro le sbarre non avremo pace».

Gli inquirenti indagano, come si usa dire in questi casi, a 360°. Vengono ascoltati tutti i vicini, gli amici, i parenti. Era una ragazza tranquilla, senza grilli per la testa dice qualcuno, ma altri insinuano che potesse avere amicizie poco raccomandabili nel giro dei tossici.

Si scopre anche che da qualche tempo la ragazza era seguita ed importunata da un uomo misterioso a bordo di una Bmw nera. Ne aveva parlato anche con i colleghi ed il datore di lavoro. L’uomo verrà poi individuato, ma testimonieranno in suo favore i genitori, affermando che all’ora del delitto, stabilita nelle 8.15, era a casa a dormire.

Sebbene fidanzata da  otto anni con Ivano Lissi, che potrà fornire un valido alibi per quella mattina, trovandosi al lavoro, Marisa aveva molti ammiratori. Anche un poliziotto che uscirà ben presto dalla rosa dei possibili sospettati.

Il pm Vittorio Nessi insiste sull’ unico elemento certo: «L’ assassino conosceva bene la vittima, le sue abitudini e il luogo del delitto. Infatti, ha potuto allontanarsi senza destare sospetti».

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Le indagini

Gli inquirenti sono convinti che si tratti di qualcuno che  dopo aver commesso l’ omicidio ha potuto allontanarsi senza destare sospetti. «L’ assassino e’ una persona molto vicina alla vittima, uno che in quella casa se non ci viveva ci bazzicava spesso»,  insistono gli inquirenti dopo cento ore di indagini.

Si segue anche la pista del maniaco, a causa di strani  furti di biancheria intima e oggetti personali, avvenuti in casa di Marisa tempo prima.

L’unico che non riesce a fornire un alibi ritenuto convincente è il cugino della madre di Marisa, Fiorenzo Alfano, 38 anni, che abita sopra l’appartamento dei Fontanella. Intanto si attendono i risultati delle analisi sul sangue e sulle impronte trovati sul luogo del delitto.

Curioso che quasi tutti gli altri sospettati, forniscono come alibi l’essere ancora a dormire, ma solo per l’Alfano verrà ritenuto non credibile. A complicare la sua posizione, poi, ci si mettono pure dei gioiellini che appartenevano proprio alla ragazza, ritrovati in casa sua. Tra gli effetti personali dell’uomo viene trovato anche un bel corredo di giochi erotici, anche costruiti artigianalmente con verdure varie. Ed è a questo punto che assume un significato tutto particolare la carota, ritrovata vicino al corpo di  Marisa.

Piste investigative

A Como stanno ancora seguendo varie piste: «Non ci siamo fissati su quell’ uomo di Erba, stiamo facendo accertamenti su altre persone “vicine” alla vittima», dicono in caserma. «Cerchiamo di scavare nella vita privata della ragazza. Ma siamo in difficoltà perché fra i suoi amici e conoscenti c’è ritrosia».

E non è tutto. Si rimette in discussione anche qualche “alibi di ferro”: «Siamo in fase di verifica». Inoltre il colonnello Orazio Ventura, a capo del comando provinciale dei carabinieri parla di «indagini compromesse», riferendosi ai primi interventi sul luogo del delitto, all’ insolito dinamismo del medico del 118, un giovane dottorino di provincia che quando si è trovato davanti ad un cadavere per cui evidentemente non c’ era più nulla da fare, ha fatto tutto ciò che non doveva: per esempio spostare il corpo della vittima, toccarlo, girarlo. «No comment» , dice scuotendo la testa il colonnello Ventura.

«Certo e’ che il luogo del delitto, cosi’ determinante per le indagini,  è stato compromesso».  E mentre da Como vengono rilasciate queste dichiarazioni, da Erba  parte il colpo di scena: raggiunto da un ordine di custodia cautelare in cui si ipotizza il reato di omicidio volontario aggravato e furto continuato aggravato, Fiorenzo Alfano viene prelevato dal luogo di lavoro, dai carabinieri, su richiesta del pm Nessi.

L’alibi e le condanne

Gli inquirenti, del resto avevano puntato gli occhi su Alfano fin dal primo momento. «Alle 8 e un quarto ero sotto la doccia, non ho sentito niente», aveva detto Alfano agli investigatori che l’ avevano interrogato nei primi giorni. Nessuno, però, poteva confermarlo: né la moglie, Francesca Montalto, bidella di una scuola del paese, né il figlio di 11 anni. Entrambi erano usciti, quella mattina alle otto meno dieci. Nemmeno il prestinaio ricorderà di averlo visto quella mattina.

Dunque Alfano non aveva alibi. Il movente del delitto è passionale ed a suffragare la tesi vi sarebbero le telefonate su linee erotiche, effettuate dal cugino di Marisa proprio nell’abitazione della famiglia Fontanella. Ma si tratta di indizi. Contro Alfano manca la prova decisiva. Il test del Dna è andato a vuoto.

L’ esame sulla minuscola goccia di sangue trovata sulla ringhiera appena fuori dal bilocale dove e’ stato commesso l’ omicidio non ha dato esito certo. L’indizio più grave sarebbe un’impronta dell’ operaio trovata sul blocchetto della serratura del bilocale ma anche questa analisi non è valida, infatti l’impronta corrisponde per dodici punti, ma la legge prevede che debbano essere diciotto. Alfano si professa innocente, la moglie lo difende oltre ogni limite anche durante il processo, i vicini e il datore di lavoro continuano a parlare di lui benissimo.

Ciò nonostante, l’11 giugno 1996 la Corte di Assise di Como condanna lo stesso a 24 anni di reclusione, sentenza confermata in appello e in cassazione. Fiorenzo Alfano è da poco uscito di prigione, dopo averne scontati 16. Alfano ha sempre mantenuto un comportamento corretto, per cui ha beneficiato della legge Gozzini, che consente di avere uno sconto di 90 giorni (tre mesi) per ogni anno di reclusione. E ha pure beneficiato dell’indulto di tre anni, approvato il 31 luglio 2006 dal Parlamento italiano.

di Paola Pagliari