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(foto fonte web)
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 “E’ stato come un brutto sogno. Ho ucciso l’unica persona che davvero mi voleva bene e che mi capiva, ma non avevo il coraggio di deluderla. Diceva sempre che ero un fallito l’ho bruciato come ho visto fare in tv” è ciò che racconta Paolo Pasimeni agli inquirenti, dopo avere ucciso il padre Luigi, Docente Universitario.

Il fatto – la città è Padova e la vittima di questa tragica vicenda è un padre padrone, esigente fino a disprezzare i figli che non rendevano nello studio. E’ passata da cinque minuti l’una di notte di lunedì 11 febbraio 2011, quando Paolo Pasimeni crolla e confessa al sostituto procuratore Paolo Luca di aver ucciso il padre Luigi a calci e pugni in un impeto d’ira.

Un racconto allucinato delle paure del ragazzo di essere punito per aver falsificato il registro di un esame, del litigio violento col padre, della furia omicida e poi delle ore passate a camminare avanti e indietro per il cortile deserto dell’università «come in un sogno». Poi la decisione di bruciare il cadavere e di tornare a casa liberandosi del giubbotto sporco di sangue. «Era mio padre che programmava i nostri piani di studio e se non corrispondevano alle sue esigenze ci diceva che eravamo dei falliti.

Con lui non avevamo dialogo, non si riusciva a parlare», spiega Paolo al Pubblico Ministero. E’ l’una meno venti quando decide di tornare su a Chimica, dove c’è il cadavere del padre. Porta il corpo giù in cortile, lo carica su una carriola e lo deposita accanto al muro dell’istituto di Farmacologia.

Qui decide di bruciarlo, ispirandosi a un documentario che ha visto in tv dove c’erano degli indù che cremavano i cadaveri, ma non gli riesce: i cartoni non prendono fuoco, sono troppo umidi. Allora entra in istituto, usando le chiavi sottratte al padre, e si procura due flaconi di liquido infiammabile, con cui cosparge il corpo. Mentre le fiamme si alzano illuminando a giorno il cortiletto, Paolo esce dal cancello dell’università usando la scheda magnetica del padre e si dirige verso a casa a piedi.

Un lungo tragitto, durante il quale si ferma più volte a vomitare. Il giaccone sporco di sangue, con la scheda del padre in una tasca, lo butta in un cassonetto. Finisce qui la confessione di Paolo: il mattino seguente avrebbe cercato di sostenere la tesi del padre partito per Messina davanti agli investigatori.

Lo ha spinto il senso di colpa – è stato un grande senso di colpa, che generando l’aspettativa di una punizione sempre più severa, tanto da far apparire il genitore come un giudice dell’Inquisizione, che non concede possibilità d’appello, a determinare la scelta di Paolo Pasimeni di uccidere il padre.

Il fatto stesso che il giovane abbia deciso di bruciare il corpo del padre è emblematico; non l’ha certo fatto per evitarne il riconoscimento ma per esorcizzarne l’autorità, cancellarne la figura fin dalle fondamenta, un po’ come si faceva con le streghe che venivano bruciate per evitare che il maleficio potesse durare oltre la morte.

Definizione psicologica del senso di colpa – Il senso di colpa è qualcosa di molto profondo, a volte un sentimento molto doloroso e alla base di gravi problemi e disturbi. Il senso di colpa arriva a determinare le nostre azioni, le nostre scelte, la nostra vita. Nasce dal “non essere all’altezza” e trova terreno fertile in una personalità fortemente autocritica.

Infatti i sensi di colpa si basano sulla paura interiorizzata, spesso inconscia, di un giudizio negativo (nessuno infatti ha paura di un giudizio positivo), e che tale giudizio negativo comporterà una punizione che la persona vive sempre come un rifiuto o una minaccia di ritiro dell’amore da parte della persona che la giudica negativamente. In definitiva il senso di colpa ci dice “sei colpevole e verrai condannato e punito con l’abbandono”. Quindi sotto ogni senso di colpa c’è sempre il terrore del rifiuto, dell’abbandono e della morte.

Il senso di colpa si basa anche su tre componenti cognitive:

  • La valutazione negativa del proprio comportamento o anche della sola intenzione;
  • L’assunzione di responsabilità quando si riconosce di essere stati causa diretta o indiretta di un evento;
  • L’abbassamento dell’autostima morale, attraverso la valutazione negativa del proprio comportamento, riconosciuto come volontario.

È possibile ipotizzare anche che il senso di colpa nasca anche da una sopravvalutazione delle proprie capacità o dalla sensazione narcisistica di essere, in qualche modo, al centro del mondo. Il pensiero psicoanalitico suggerisce di esaminare questi processi mentali con attenzione: quando in psicologia si arriva alle radici di un senso di colpa apparentemente immotivato, di solito si trova un sentimento ostile nei confronti di qualche componente della famiglia o di un suo sostituto.

di Francesca De Rinaldis