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L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore.

Empatia significa sentire dentro ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana. Si tratta di un forte legame interpersonale e di un potente mezzo di cambiamento. Il concetto può prestarsi al facile riduttivismo mettersi nei panni dell’altro, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. È una forma molto profonda di comprensione dell’altro perché si tratta d’immedesimazione negli altrui sentimenti.

Senza empatia non costruiremmo amicizie, senza empatia ci sentiremmo in un mare sconfinato di solitudine perché nessuno ci capisce. Insomma, senza empatia vivremmo ognuno chiuso nel suo bell’acquario di egoismo, fregandocene di quello che capita agli altri.

In un’epoca, la nostra caratterizzata da relazione sempre più fredde ed impersonali mediate dagli strumenti della moderna tecnologia informatica, in un’ epoca insomma nella quale le relazioni e gli scambi tra persone avvengono soprattutto per chat e attraverso i social network, si rischia di diventare sempre più aridi nei sentimenti e sempre meno empatici.

L’arte come salvezza

Si corre soprattutto il rischio di restare intrappolati scambiare l’effimero mondo relazionale della rete, e di non sentire  invece il forte senso di solitudine che nella vita reale caratterizza e pervade l’esistenza dell’uomo attuale.

Le componenti della solitudine come il senso si isolamento, la mancanza di reciprocità, la perdita della fiducia e della speranza, sono causa di malessere esistenziale che non di rado si traduce in malattia come può essere ad esempio nel caso della Depressione.

Dunque riportare la relazione ad uno scambio reale tra persone, fatto di contatto e di empatia soprattutto, appare la via privilegiata per combattere questo stato di solitudine.

Un aiuto importante in questo senso, ci arriva in questi giorni dall’arte. È l’arte a mostrarci che l’empatia è un potente strumento per combattere la solitudine.

L’arte come fenomeno

Le recenti scoperte nel campo della neurologia hanno fornito degli spunti di riflessione per ripensare al fenomeno artistico e dunque estetico in chiave scientifica. Diversi neurologi si sono dimostrati attratti dalla prospettiva di fornire nuove teorie che fossero in grado di spiegare le recenti scoperte nel campo delle percezioni e della loro elaborazione: questo atteggiamento ha dato vita a quella che si appresta a divenire una branca tutta nuova dell’estetica, la Neuroestetica.

La Neuroestetica è una recente area di ricerca che coinvolge le scienze cognitive e l’estetica e che affianca un approccio neuroscientifico alla consueta analisi estetica della produzione e della fruizione di opere d’arte.

Appena pochi giorni fa alla Biennale di Venezia, l’artista Tino Sehgal, che ha proposto ai Giardini un tableau con due interpreti dialoganti, è stato premiato per «l’eccellenza e l’innovazione che la sua pratica ha portato aprendo il campo delle discipline artistiche».

La sua opera, dice l’artista, «cerca di andare oltre la filosofia della solitudine che ha caratterizzato il Novecento». Alla sua capacità di creare empatia con l’osservatore è stato dedicato recentemente, dall’Associazione di Neuroestetica, un convegno sulla capacità dell’opera di Sehgal di essere empatica.

 

di Francesca De Rinaldis