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(foto fonte web)
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Un eccentrico romanziere di gialli invita nella sua lussuosa casa, per conoscerlo meglio, il nuovo compagno della moglie dalla quale sta divorziando. Imprevisti sviluppi.

Titolo italiano idiota (quello originale è “Sleuth”, che vuol dire “segugio”, “detective”) per una delle opere più straordinarie e misconosciute degli anni ’70: gli storiografi del decennio dell’esplosione di Scorsese, della consacrazione di Kubrick e dei primi due capitoli del Padrino sembrano essersi dimenticati di questo film, l’ultimo capolavoro di quel grande regista che è stato Joseph Leo Mankiewicz.

Tratto dalla piéce teatrale di Tony Shaffer, sontuosamente adattata per il cinema, è un caso più unico che raro di lungometraggio di finzione che si regge per 130 minuti soltanto sulle robuste spalle di due sensazionali attori, aiutati ovviamente dallo stile classico e impeccabile del regista e dalla conturbante scenografia di Peter Lamont e John Jarvis.

Crudelissimo gioco di ruolo frutto di una società malata, che rincorrendo il sesso e il denaro ha smarrito il significato di concetti come la dignità e l’onore; dietro l’elegantissima patina degli abiti firmati, dei giocattoli e delle battute sarcastiche vi è un pessimismo senza fondo. Un concerto di due ore e dieci organizzato con sapienza in tre movimenti, senza una nota stonata, un tasto falso, una macchia d’inchiostro.

Caine (qui probabilmente alla sua prova migliore) e Olivier fanno sfoggio del loro smisurato talento cambiando faccia e registro in uno schioccar di dita: match pari. Per privare dell’Oscar uno dei due ci sarebbe voluto un mostro, o don Vito Corleone.

Joseph L. Mankiewicz, 1972

Recensione di Giuseppe Pastore

http://cinema-scope.org/2006/12/28/gli-insospettabili-joseph-l-mankiewicz-1972/