(Shawn Heinrichs for the Pew Environment Group)

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(foto fonte web)

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A volte il predatore diventa preda. E i suoi 400 milioni di anni di evoluzione vengono ridotti ad una zuppa. È quello che sta avvenendo agli squali.

La zuppa di pinne di squalo è una pietanza antica della cucina cinese ed è considerata una prelibatezza, benché, in realtà, il gusto sia dato unicamente dal condimento piuttosto che dalle stesse pinne cartilaginee.

Per gli antichi pescatori, catturare uno squalo era una dimostrazione di forza e potenza, visto i mezzi di cui disponevano e la pericolosità dell’animale. E i piatti, rari e pregiati, venivano serviti agli imperatori.

Oggi, chiunque può ordinare una zuppa di pinne di squalo nei ristoranti cinesi. Il prezzo? Di solito non supera i 100 dollari a piatto. Ma ne vale realmente la pena?

(foto fonte web)
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Pratica crudele

È chiamata “finning”, o spinnamento, la pratica con cui vengono tagliate le pinne agli squali, che poi vengono spesso rigettati in mare ancora vivi, in preda ad atroci sofferenze, morendo per soffocamento o divorati da altri pesci. Senza contare le conseguenze catastrofiche che un massacro simile ha sulle stesse specie.

Eppure non ci sono controlli, né alcuna selettività da parte dei pescatori. Vengono catturate diverse specie di squalo, da quelle che l’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) classifica come a rischio minimo, fino alle specie più minacciate. Neppure gli enormi squalo elefante e squalo balena vengono risparmiati. Alcune specie sono state decimate del 90% in diverse zone. Tra queste vi è lo squalo martello, che può impiegare anche 17 anni per raggiungere la maturità, caratteristica che lo rende ancora più a rischio.

(Shawn Heinrichs for the Pew Environment Group)
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La catena alimentare

Ma per quanto ancora continuerà questo massacro? Gli squali sono predatori terminali delle catene alimentari marine e, come tali, hanno un ruolo fondamentale. Eliminare gli squali vuol dire sconvolgere completamente gli ecosistemi oceanici. Il Mediterraneo ha già perso il 98% dei suoi squali, e così sta avvenendo anche in altri mari.

Uno studio condotto nel 2004 nelle isole Fiji ha dimostrato come la riduzione di questi elasmobranchi abbia portato ad una proliferazione di pesci che si nutrivano di corallo e, quindi, alla distruzione del 35% della barriera corallina. Senza contare le popolazioni umane del terzo mondo che trovano nella pesca l’unica fonte di sostentamento e che stanno vedendo le loro risorse sempre più depredate dai grandi pescherecci di altri Paesi del mondo, che operano senza alcun rispetto delle regole di pesca locali.

Il massacro sta indignando ambientalisti e animalisti e smuovendo molte coscienze; come quelle di due compagnie aeree, la cathay Pacific e l’Air New Zeland, che hanno deciso di non accettare più pinne di squalo sui propri voli. Diversi stati, tra cui la California, il Canada e il Brasile, hanno vietato il loro commercio e, recentemente, l’Unione Europea ha imposto alle imbarcazioni degli stati membri di trasportare gli squali interi sulle navi, senza tagliare le pinne e ributtare il corpo in mare, limitando così l’enorme spreco di carne e riducendo le sofferenze dell’animale.

Traffici illegali

Ma questo non è forse ancora troppo poco? Gli squali vengono uccisi comunque e il traffico di pinne di squalo è in aumento. Come potremo scongiurare l’estinzione di questi straordinari predatori e ristabilire gli equilibri oceanici? La pesca, e non solo quella degli squali, continua ad essere sempre più insostenibile. Forse sarebbe ora che i consumatori, veri detentori del potere di far aumentare o diminuire la richiesta, decidessero cosa mangiare in modo più responsabile.

di Salvatore V. Riccobene