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(foto fonte web)
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Un serial killer psicopatico progetta di uccidere sette persone abbinando ognuna di loro a un vizio capitale: gola, avarizia, accidia… sulle sue tracce un detective nero all’ultima settimana di lavoro prima della pensione e un giovane collega bianco.

Secondo film di David Fincher, di importanza capitale nel cinema degli anni ’90 e nella storia del genere thriller. Più che alla regia, ancora acerba, del comunque promettentissimo Fincher (che non si risparmia in merletti e leziosità da studente secchione, come le macchie nere intermittenti sulla pellicola, le famose “bruciature di sigaretta”), grande merito va alla sceneggiatura di Andrew Kevin Walker, abilissima nel saccheggiare a piene mani il classico repertorio di stereotipi del genere (la coppia giovane-vecchio, bianco-nero, saggio-scapestrato, citazioni finto-colte di Dante, Shakespeare e Milton contrapposte a dialoghi eccellenti) per approdare a un finale di clamorosa potenza e drammaticità narrativa, sicuramente il migliore – nel suo genere – del decennio.

Thriller con passi da noir, piovoso e iperpessimista, come da chiosa finale, un po’ didascalica. Morgan Freeman, straordinario, surclassa un Brad Pitt volonteroso e nulla più, ma la mezz’ora finale di un lussuoso Kevin Spacey (già Oscar nel 1995 per “I soliti sospetti”) ruba la scena a tutti. Ha dato involontariamente il via a tutta una serie di thrilleracci di bassa lega notevoli soprattutto per la gratuita efferatezza degli omicidi, senza che dietro vi sia neanche la decima parte dell’inquietante pathos che trascina questo film. Ignorato agli Oscar, ma destinato da subito a diventare un cult.

David Fincher, 1995

Recensione di Giuseppe Pastore

http://cinema-scope.org/2007/05/24/seven-david-fincher-1995/