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(foto fonte web)
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Un’attrice, un regista, il remake di un film maledetto, degli uomini con teste di coniglio, prostitute, una donna in pericolo. Un lungo incubo.

Al Festival di Venezia 2006, Michele Placido abbandonò a metà la proiezione di “INLAND EMPIRE” (tutto maiuscolo, mi raccomando) per andarsi a mangiare un piatto di spaghetti con Bigas Luna. Ora, anche sottolineando l’insulso provincialismo di molto nostro cinema, si rimane di stucco a leggere recensioni adoranti che parlano di “un film che ha reinventato la settima arte” prima di affrettarsi a puntualizzare che “il film è incomprensibile, ma non è questo il punto”.

Dicono: INLAND EMPIRE “è un’esperienza, e come tale va vissuta”, e così via. Chiariamoci: David Lynch è (è stato?) autore di opere geniali e portentose, ultima quel “Mulholland Drive” che è capolavoro di regia e sceneggiatura; e proprio azzardando un confronto con il suo predecessore dovrebbe essere chiaro a tutti che questo è un insulto all’intelligenza di una larghissima fascia di pubblico “medio” ma non “mediocre”, di cultura più o meno buona e perciò poco disposta a farsi propinare questo indigesto pappone di tre ore che i molesti adepti lynchiani spacciano per la Bibbia.

C’è il Lynch peggiore, quello musone e asociale di “Strade perdute” moltiplicato per cento, in una totale assenza di emozioni e men che meno di sensazioni, ancor più irritante perché disseminato di indizi e simboli che sembrerebbero voler dare un senso al tutto (es. le ripetizioni di scene già viste in precedenza). Gli unici soprassalti di cieco humour nero sono le apparizioni dei coniglioni e la bizzarra virata al musical, luci lontane del Lynch che fu.

Davvero si vuole che sia questo il cinema del futuro? E’ anche vero che “se volessi mandare un messaggio andrei alle Poste” (cit. Lynch), ma perché inscenare un gigantesco Nulla? La “spiegazione” (brutto segnale quando un film ha bisogno di essere “spiegato”, ma tant’è) più accreditata sul Web parla di tre piani spazio-temporali che si intersecano in continuazione, in cui la protagonista reale è una prostituta polacca degli anni ’50 che in punto di morte immagina la propria vita come un film hollywoodiano. David Lynch può permettersi questo e altro.

Il film meriterebbe onestamente di più, ma questo qui sotto è un voto alla protervia e alla superbia di un cineasta che si crede Dio.

David Lynch, 2006

Recensione di Giuseppe Pastore

http://cinema-scope.org/2007/08/30/inland-empire-david-lynch-2006/