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Poche donne in Italia ricoprono posti di rilievo nei CdA.

Per prima cosa spieghiamo che cosa s’intende per quote rosa

La legge bipartisan approvata dal Parlamento, prescrive che a partire dal 2011 i CdA delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica, dovranno essere composti per un quinto da donne. Dal 2015 la quota rosa dovrà salire a un terzo.

Com’è invece la situazione attuale?

A dir poco penosa. Nel 2010 delle aziende quotate erano 4.346, il 92,4% dei quali uomini. Anche se la situazione migliora (le quote rosa sono aumentate in un anno, dal 2009 al 2010, dal 6,9 al 7,6%), metà dei vertici delle aziende quotate è composta in Italia da soli uomini.

In Italia oggi solo il 14% dei membri di CdA è donna.

Il 69% delle donne in CdA si trova al nord, il 27% al centro e solo il 4% al sud; Toscana e Umbria le regioni più rosa, ultima la Basilicata.

Che cosa accadrà alle aziende che non si adegueranno?

È prevista anzitutto una diffida da parte dell’autorità di controllo della Borsa, la Consob, che inviterà le aziende a ridisegnare il Cda per adeguarsi alla legge. Se non accadrà nulla scatteranno le multe: da 100mila euro a 1 milione per i CdA e tra 20mila e 200mila euro per i collegi sindacali. Nel caso di ostinata sordità ai richiami, le compagnie rischieranno l’annullamento degli organismi di controllo.

Insomma, l’Italia è notevolmente indietro in materia di quote rosa nonostante la legge del 2011 richieda, pena lo scioglimento, che entro il 2013 tutti i Cda e le Spa quotate, abbiano almeno un quinto di rappresentanti donne e entro il 2015 un terzo. Per adeguarsi alla legge nella scadenza 2013 mancano, per quanto riguarda il settore privato 469 consigliere, per la scadenza 2015, 351, in tutto oltre 1.000 consigliere alle quali si sommeranno, entro breve le circa 9.000 donne impegnate nelle 7.000 società partecipate dallo Stato e dagli enti pubblici.

I primi a introdurre le quote rosa nel mondo sono stati i norvegesi, nel 2006. L’obiettivo era il 40% entro il 2008. Nel 2010 il governo norvegese ha presentato i risultati della legge: le quote rosa nei CdA hanno superato gli obiettivi, le donne ricoprono oggi il 41% delle posizioni più alte.

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Negli ultimi decenni in Italia, la presenza femminile anche sulla scena politica, è molto scarsa, se messa in relazione con gli altri paesi membri dell’Unione Europea.

Come mai questa differenza? Perché gli uomini temono la presenza femminile?

Lecite queste domande.

L’avanzata delle donne nei posti di rilievo è sempre stata faticosa e ostacolata. Anche quando si parla di pari opportunità, sembra si tratti un argomento fantasioso e non concreto e di facile realizzazione.

Occorre cambiare cultura nel nostro paese, ancora chiuso in guscio troppo maschilista che non apre le porte e quindi le possibilità di posti di rilievo alle donne. In Italia, nonostante l’acquista emancipazione, ristagna ancora l’idea del maschio lavoratore, che mantiene la famiglia; mentre la donna è colei che si occupa della cura della casa e dei figli.

Non è un caso che la più alta presenza femminile nei paesi esteri, si riscontri soprattutto dove la democrazia è più alta e più diffusa, non soltanto nella norma politica, ma anche e soprattutto in quella della vita di tutti i giorni.

Esiste un modo per cambiare mentalità?

Il governo tedesco ci sta provando agendo attraverso la «moral suasion», ossia sta chiedendo alle aziende di aumentare volontariamente le quote ai vertici. Ma il messaggio è chiaro: se le compagnie non si muoveranno, prima o poi li obbligherà una legge. Deutsche Telekom e Siemens hanno annunciato che provvederanno a migliorare la presenza femminile nei Cda.

Le donne possono rivoluzionare le aziende con le loro idee, le capacità e la dedizione, la stessa che mettono nel condurre una famiglia. Forse è la paura della competizione che frena gli uomini e quindi di una possibile “prevaricazione”.

Le situazioni comunque devono cambiare anche in Italia adeguandosi ai tempi. E’ vero che non siamo gli ultimi nel mondo, ma di certo non primeggiamo.

di Dora Millaci